Perché l'uso del concetto di Paideia e di Cultura a 360°

Perché l'uso del concetto di Paideia e di cultura a 360°

Dall'iniziale esaltazione dell'aretè, ovvero il culto del coraggio, della valenza fisica e dell'astuzia, gli uomini di cultura e i politici greci vennero man mano delineando una più complessa idea di uomo valente. Costui infatti, accanto al coltivare l'àristoi, ossia l'essere prode, doveva curare : << .. Il padroneggiamento della parola ( .. ) qual segno della sovranità della mente .. >>, ( Werner Jaeger, Paideia, Milano II Edizione Bompiani Pensiero Occidentale 2011, RCS Libri S. p. A. ). E' così che il concetto greco di Paideia prese la sua forma definitiva.

Da allora sono passati più di 2000 anni ma la bellezza e il fascino della visione di come quei " grandi " ritenevano dovesse essere l'uomo ideale non solo non è sorpassata ma, stante la decadenza della nostra Società, è quanto mai attuale.

Ed egualmente fondamentale, oggi come allora è la determinazione delle qualità, virtù ed abilità che il soggetto d'elite debba aver maturato. Doti e nozioni che a mio parere possono rilevarsi soltanto cominciando a pubblicizzare e studiare quanto di meglio i ricercatori scientifici e i nostri " geni " abbiano scoperto nei loro studi attorno all'uomo e alla società.

.. Quanto al resto .. E' solo ciccia! ..

martedì 2 giugno 2015


Paideia : 6 l'eredità del passato


 

Nonostante siano cambiate molte cose dal varo della riforma della scuola di Giovanni Gentile ( 1923 ), il nostro sistema scolastico continua a sfornare principalmente potenziali liberi professionisti, ovvero figure quali ragionieri, geometri, ingegneri, avvocati, notai, ecc., che sono destinati per decreto a occupare i centri nevralgici dell’economia e dello Stato.

Ovvio che avendo simili potenzialità di carriera costoro mal sopportino impieghi al di sotto di un certo standard o limitazioni di qualsivoglia natura e che grazie alla grande considerazione di cui godono, ai ruoli che ricoprono e ai notevoli mezzi di cui dispongono, costituiscono una lobby capace di esercitare un’influenza tale da avere facilmente la meglio nelle contese con le altre frazioni.

La “ classe degl’intellettuali “ dunque ha sostituito la nobiltà alla guida del Paese ma la cosa attualmente non sembra foriera di grandi progressi. Le “ sue viscere “ infatti stentano a partorire idee nuove e interessanti mentre la maestria nei bizantinismi, nei traccheggiamenti e nei biechi compromessi, non è di per sè geniale espressione di loro esclusiva prerogativa.

La nostra scuola dunque che, come qualunque organizzazione pubblica corrisponde meglio che può alle direttive politiche dominanti ( le quali più che a rinnovare sono volte a mediare fra le fazioni in concorrenza per non destabilizzare il già zoppicante assetto sociopolitico ), non può che essere volta alla perpetuazione dei valori e degli istituti in auge e ciò fa si che non si sia ancora spenta, nè la preminenza data ai licei e alle materie umanistiche tradizionali ( che costituiscono per altro le forche caudine da cui la nostra classe dirigente è passata ), né la preferenza a un insegnamento che non stimola la capacità analitica dell'allievo ma considera " maturo " chi si adegua ai valori osannati dai media.

Convinzioni che, sebbene odiernamente non s'incentrino più sul patriottismo, i pregiudizi razziali, la fede e l'ordine bensì sulla giustizia sociale, il pacifismo, la tolleranza e la libertà, oggi come allora rischiano di far assurgere vaghi proponimenti idealistici ( e non leggi di natura ), a valori connaturati al DNA dell'uomo.

Martin Clark del resto afferma : << .. Le scuole italiane nel periodo postbellico continuarono nel loro solito andazzo : valutare, esaminare, selezionare, produrre in eccesso laureati inutili e classificare tutti gli altri come fallimenti.

Il ministero preparava libri di testo gonfi di nozioni da mandare a memoria. Gli studenti venivano costantemente esaminati di fronte alla classe su quel che riuscivano a ripetere dei libri di testo. Quelli che fallivano agli esami venivano condannati a ripetere l'anno, anche nelle scuole elementari, sicché solo la metà degli alunni finiva le scuole elementari all'età canonica. Non c'era nessun tentativo di collegare le discipline e gli argomenti - per non parlare del fatto di collegare la scuola con il mondo esterno. Gli insegnanti romani di storia antica non potevano portare i loro allievi a vedere il Colosseo.

Questo sistema spaventoso, rigido, irreale, chiuso, noioso e profondamente stupido faceva del suo meglio per anestetizzare le generazioni studentesche. Ci si chiede chi ne abbia sofferto maggiormente; i " fallimenti " che lasciarono la scuola il più presto possibile, segnati e appena in grado di leggere e scrivere oppure i " successi ", arroganti e convinti che quel che avevano appreso a scuola fossero nozioni che valeva davvero la pena di apprendere. Probabilmente questi ultimi, dato che gli fu insegnata la mancanza di buon senso e l'indifferenza nei confronti del mondo reale e ciò si sarebbe dimostrato un handicap terribile nella vita adulta  .. >>[1].

Non che le cose, come dicevo prima, adesso siano cambiate di molto e ciò significa che, nel migliore dei casi, è probabile che Tizio, Caio e Sempronio, una volta che a esempio siano stati licenziati dal Liceo con il massimo dei voti, si sentano un tantino speciali per tutto il loro sapere di greco, di latino, di Manzoni, di Dante, di storia, di letteratura e di filosofia e onestamente decidano di osservare un conseguente standard di vita.

Fiduciosi nella loro capacità e rafforzati nei convincimenti da quanto assimilato è quindi prevedibile che si sforzino d'essere raffinati e socievoli nonché sensibili ai compiti e ai doveri sociali che la posizione e il livello di civiltà raggiunto fa ritenere indispensabili. E' ragionevole pensare perciò che oggi siano strenui assertori dell'umanitarismo, della tolleranza e del pacifismo; rifiutino il razzismo e desiderino approfondire gli aspetti interessanti della cultu­ra che la scuola ha solo accennato.

Ma allorché avranno a che fare con la concorrenza sleale degli altri candidati ai pochi posti di lavoro disponibili; quando il loro matrimonio andrà in crisi e avranno bisogno dell'intervento degli avvocati e di tutto il resto; non appena perdano gli " amici politici " influenti oppure si becchino qualche solenne fregatura da qualche abilissimo pataccaro; nel momento in cui debbano guidare un gruppo con la responsabilità che una decisione sbagliata possa perderli oppure siano nel chiuso della cabina elettorale non sapendo che fare visto che i professori addentro alle questioni politiche erano di parte mentre gli altri glissavano; allora si renderanno conto che tutta quella sapienza su Manzoni, Dante, Proust, Croce, Vico, ecc., non servirà un gran che.

A quel punto insomma non sapranno a che santo votarsi e, con buona pace degli esempi di nobiltà d'animo che trasudano dalle pagine dei testi su cui si sono consumati gli occhi, venderanno l'anima al diavolo.

I ” bravi ragazzi “ diverranno dunque degli impenitenti ipocriti e, sacramentando per il ritardo con il quale si sono “svegliati “, arrancheranno dietro ai “ furbi “ che non si sono fatti irretire dalle belle parole di ministri, intellettuali e insegnanti ( tutte figure che per altro spesso predicano bene ma razzolano male ), ma si sono formati alla “ scuola “ di genitori e conoscenti scaltri nonché dei media che con i film, i talk show, la cronaca rosa e nera, hanno mostrato loro sistemi più spicci e fruttuosi di vivere.

Da qui la sempre maggior attenzione alla cura del corpo e della faccia tosta seguenti alla convinzione che ciò apra porte altrimenti irraggiungibili. Così il clientelismo, la piaggeria, la compiacenza sessuale, il seguire le mode  e, più in generale, il consumismo.

Non svelo certo un gran segreto ricordando a esempio che le folle di fans insegnano che un disco ben piazzato ( e con l'elettronica oggi non è nemmeno necessario essere gran che virtuosi ), si possono raggiungere vette di celebrità impensabili a letterati e scienziati.

 






[1] Martin Clark, Storia dell'Italia contemporanea, Milano 1° edizione " Storia Paperback " novembre 1999, Bombiani.

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