Secondo il professore Giulio
Tremonti in Bugie e verità ( Milano
1° edizione 2014, Arnoldo Mondadori Editore S.p.A ), nel 2014 il bilancio pubblico italiano stava migliorando.
Ciò significherebbe che all’epoca l’Italia stava faticosamente risalendo la
china.
La nostra spesa primaria infatti, ovvero la
spesa pubblica non per interessi era già allineata o inferiore a quella delle
altre principali economie europee e questo in quanto la spesa sanitaria era già
un poco inferiore a quella europea mentre quella pensionistica si avviava a
essere pari alla media del continente. Idem per la spesa per il pubblico
impiego. Tant’è vero che a partire dal 2008 i dipendenti pubblici sono
diminuiti e in sovrappiù sono pagati di meno. Di più non si sarebbe potuto fare
dato l’impatto negativo del ciclo socio-economico.
Peccato che nel frattempo molti altri stati,
causa la crisi, aumentavano il proprio indebitamento e, grazie al fatto che si
trattava di paesi economicamente più forti, attraevano gl’investitori. Per
farci prestare i capitali necessari quindi, non ci restava che aumentare la
prospettiva di redditività dell’investimento offrendo interessi più alti, cosa
che peggiorava il grado di solvibilità. Ciò faceva si che la nostra spesa per
interessi sul debito pubblico sia più o meno doppia rispetto a quella di altri
Paesi e da allora a oggi è sicuramente aumentata.
La soluzione sarebbe abbattere il debito
pubblico, cosa più facile a dirsi che a farsi e quando si comincia a discutere
sui possibili tagli chi dovrebbe esserne vittima si rifiuta categoricamente di
farlo adducendo che siano coloro che non pagano le tasse a farlo. Richiesta del
tutto legittima che però risulta difficile da attuare, vuoi perché richiede notevoli
energie da spendere, vuoi in quanto non è detto che a fronte di ciò il ricavato
sia sufficientemente rilevante.
E’ normale allora che, chi potrebbe patire le
conseguenze di una diminuzione di contribuzioni difenda la propria mercede gettando
l’occhio invidioso su chi possieda
qualcosa in più ( milionario o povero cristo che sia ).
Ci si può fare un’idea del punto di vista di costoro riportando un piccolo
aneddoto tratto Dal
discorso di Mario Savio alla cerimonia di laurea del figlio Nadav ( Citato da :
Enrico Deaglio, Patria 1978 - 2008,
Milano 2009, Il Saggiatore S.P.A. ).
“ Mio
padre mi raccontò la storia del comunista che va da don Peppino per convincerlo
della bontà del comunismo. Don Peppino disse : << Voi dunque credete che
tutti gli uomini dovrebbero dividersi la ricchezza in parti uguali? >>.
<< Esattamente, don Peppino >>.
<< Bene, allora io volentieri divido la mia
proprietà e ve ne regalo la metà >>:
<< Oh, grazie don Peppino >>.
<< Però un’altra domanda. Cosa capita se tra un anno
voi avete scialacquato la vostra parte? >>:
<< Oh, don Peppino, in quel caso bisognerà di nuovo
dividere in due >>.
Detta così, papale papale, molti fautori della giustizia
sociale non ci fanno una grande figura e non ce la fanno perché se opportunisti
rivelano una natura gretta almeno quanto quella dei “ cattivoni egoisti “. Se
idealisti una visione fuori della realtà. Ma torniamo alle cure con le quali si
pensa di sradicare il debito nostrano.
E’ risaputo che l’italiano medio sia un gran
risparmiatore, sia nell’eventualità di aiutare i propri figli a sistemarsi, sia
per far fronte a eventi gravi e imprevedibili e nel 2014 questo patrimonio
veniva calcolato ( i dati sono sempre ricavati dal sopraddetto libro del
professor Giulio Tremonti ), in circa 8000 miliardi ( 5000 in immobili, 3000 in
redditi d'impresa e finanziari ). Con una simile cifra si potrebbe azzerare il
debito pubblico rimanendo ancora con più di 5000 miliardi di euro di ricchezza
e pare che questo fattore ( ovvero il rapporto ricchezza privata – debito
pubblico ), venga considerato anche in sede europea come un elemento probatorio
importante della potenziale solvibilità di uno stato. Non è infatti la stessa
cosa avere conti pubblici migliori ma cittadini
indebitati sino al collo.
Il fatto è però che su questa millantata
ricchezza non è da farvi proprio conto. Tanto per cominciare dal 2014 ad
adesso, tra mancati introiti finanziari, aumento delle spese, crac bancari,
crisi immobiliare, licenziamenti e quant’altro è probabile che la prosperità
privata si sia drasticamente ridotta. In secondo luogo il patrimonio privato è
immobilizzato in investimenti da cui non sempre lo Stato può esigere alcunché.
In terzo luogo se lo Stato accentuasse il suo prelievo fiscale in maniera consistente parecchi privati
sarebbero costretti a vendere le proprietà e i titoli. Ciò comporterebbe un
eccesso di offerta e quindi un deprezzamento degli stessi che finirebbe per
ridurre in modo esponenziale le entrate. Come se non bastasse banche, fondi
pensioni, fondi d’investimento e quant’altro potrebbero decidere, onde evitare
di registrare perdite importanti, di ritirarsi dall’investire in Italia mentre altri
gruppi, forse anche più micidiali, potrebbero speculare sul ribasso, con
effetti a catena disastrosi.
Senza contare che una volta bruciate le
ricchezze private non si farebbe altro che aumentare il numero dei poveri che a
loro volte non potrebbero far altro che invocare assistenza pubblica,
incrementando nuovamente la spesa statale.
Il professor Tremonti, sempre nel libro
citato, offre un’altra soluzione. Premesso che in quanto risparmiatori spesso
si acquistano proprietà, titoli o azioni di società estere ( lo studioso
afferma che ogni anno, almeno sino al 2014, gl’italiani comperino più di 40.000
case fuori dalla madre patria ), sarebbe bene convincerli ad acquistare i nostri
titoli di stato. Se così facessero per altro si eviterebbero le manovre
speculative contro l’Italia che invece
sono possibili “ ingrassando “ i portafogli degli stati esteri.
Certo investire all’estero non è sempre più
redditizio che farlo in Italia ma resta comunque la sensazione che si tratti di
una strada poco percorribile visto che i nostri titoli già allora erano
considerati carta straccia e quindi altamente a rischio. E’ improbabile infatti che gli italiani
più prudenti, a meno che non vi siano costretti, rischino di perdere tutti i
loro risparmi finanziando in massa il debito pubblico. Quei soldi rappresentano
la loro assicurazione contro ogni brutta evenienza e la finanza insegna che in
questo caso il migliore investimento è in titoli “ sicuri “. Senza contare
che l’esperienza greca e argentina insegnano che quando lo Stato sia alla canna
del gas una delle prime cose che fa, assieme all’inasprimento fiscale è
decretare l’emissione di titoli di stato a lunga scadenza e a interessi
ridicoli che sostituiscano quelli “ buoni “ detenuti. Non male vero come
soluzione che salvaguardi i milioni di piccoli risparmiatori italiani!
Altre strade non sono percorribili a meno che
non s’imbocchi quella suicida del tagliare drasticamente le spese socio
assistenziali, previdenziali e pensionistiche. Ancor peggio andrebbe se fatte
in un momento di crisi economica e sociale in un contesto di bilancio pubblico
già tendente al pareggio : in questo caso si scatenerebbero grandi fenomeni
recessivi.
Bibliografia
Giulio Tremonti, Bugie
e verità, Milano 1° edizione 2014, Arnoldo Mondadori Editore S.p.A