Perché l'uso del concetto di Paideia e di Cultura a 360°

Perché l'uso del concetto di Paideia e di cultura a 360°

Dall'iniziale esaltazione dell'aretè, ovvero il culto del coraggio, della valenza fisica e dell'astuzia, gli uomini di cultura e i politici greci vennero man mano delineando una più complessa idea di uomo valente. Costui infatti, accanto al coltivare l'àristoi, ossia l'essere prode, doveva curare : << .. Il padroneggiamento della parola ( .. ) qual segno della sovranità della mente .. >>, ( Werner Jaeger, Paideia, Milano II Edizione Bompiani Pensiero Occidentale 2011, RCS Libri S. p. A. ). E' così che il concetto greco di Paideia prese la sua forma definitiva.

Da allora sono passati più di 2000 anni ma la bellezza e il fascino della visione di come quei " grandi " ritenevano dovesse essere l'uomo ideale non solo non è sorpassata ma, stante la decadenza della nostra Società, è quanto mai attuale.

Ed egualmente fondamentale, oggi come allora è la determinazione delle qualità, virtù ed abilità che il soggetto d'elite debba aver maturato. Doti e nozioni che a mio parere possono rilevarsi soltanto cominciando a pubblicizzare e studiare quanto di meglio i ricercatori scientifici e i nostri " geni " abbiano scoperto nei loro studi attorno all'uomo e alla società.

.. Quanto al resto .. E' solo ciccia! ..

lunedì 15 luglio 2019

La Commissione e il Parlamento europeo



Ancora nel 2008 il professor Tremonti spiega che La Commissione europea è costituita da tanti commissari quante sono le nazioni facenti parte dell’Unione. Rappresentando ciascuno di essi il proprio stato è estremamente difficile che riescano a trovare un accordo su qualcosa. Nel momento in cui si arriva a uno stallo nelle deliberazioni continua ad avere la meglio l’attività burocratica. Non a caso sempre il nostro famoso studioso afferma ( in : Rischi fatali edito a Milano nel 2005 da Arnoldo Mondadori Editore S.p.A ), che essa è nata per fare : << .. Arbitraggi di carat­tere interno: «Europa su Europa». E non per tutelare e proiettare all'esterno i nostri interessi. Gli altri Paesi, i nostri concorrenti, vanno nel WTO con il loro governo. L'Europa ci va con un «commis­sario». Dietro il quale c'è un inefficiente meccanismo di burocrazia politica. .. >>.
Non solo! Per quanto riguarda i Ministri rappresentanti dei governi insediati nel Consiglio, visto infatti che ogni Stato indice ogni 4 o 5 anni le proprie elezione europee, ogni qual volta quelli si riuniscono almeno 4 o 5 sono in campagna elettorale paralizzando così il processo decisionale che cerca di risolvere l’impasse, quando ci riesce,  deliberando all’unani­mità.
Come ciliegina sulla torta vi si può aggiungere che il Parlamento europeo non ha iniziativa legislativa e dunque non gioca il ruolo che ha nelle nazioni europee.
L’Istituto in questione avrebbe certo un diverso peso se gli attribuisse «iniziativa legislativa» sulle materie che non sono più di competenza nazionale. In questo modo la Commissione Europea cesserebbe di essere la principale autorità legislativa e diventerebbe un'autorità di controllo e vigilanza.
La cosa tuttavia, visto che non è stata prevista  sottolinea che non era “ nelle corde “ di chi ha attuato l’Unione Europea creare un forte stato federativo continentale a difesa della concorrenza asiatica a Est e americana a Ovest. All’epoca del Trattato di Roma le potenze europee non erano affatto tallonate dalla concorrenza estera. Loro obiettivo era quello di favorire al massimo gli scambi intereuropei, creare opportunità interne di sviluppo, Favorire la formazione di grandi imprese e una lenta caduta di tutte quelle barriere che potevano ostacolare quanto sopra e questo onde evitare quelle frizioni che alla fine erano state la vera causa delle prima e seconda guerra mondiale.

a ) Bibliografia

Giulio Tremonti, La paura e la speranza, Milano 2008, Arnoldo Mondadori Editore S.p.A..
Giulio Tremonti, Rischi fatali, Milano 2005, Arnoldo Mondadori Editore S.p.A..



giovedì 4 luglio 2019

Comprare i nostri r titoli?




Secondo il professore Giulio Tremonti in Bugie e verità ( Milano 1° edizione 2014, Arnoldo Mondadori Editore S.p.A ), nel 2014 il bilancio pubblico italiano stava migliorando. Ciò significherebbe che all’epoca l’Italia stava faticosamente risalendo la china.
La nostra spesa primaria infatti, ovvero la spesa pubblica non per interessi era già allineata o inferiore a quella delle altre principali economie europee e questo in quanto la spesa sanitaria era già un poco inferiore a quella europea mentre quella pensionistica si avviava a essere pari alla media del continente. Idem per la spesa per il pubblico impiego. Tant’è vero che a partire dal 2008 i dipendenti pubblici sono diminuiti e in sovrappiù sono pagati di meno. Di più non si sarebbe potuto fare dato l’impatto negativo del ciclo socio-economico.
Peccato che nel frattempo molti altri stati, causa la crisi, aumentavano il proprio indebitamento e, grazie al fatto che si trattava di paesi economicamente più forti, attraevano gl’investitori. Per farci prestare i capitali necessari quindi, non ci restava che aumentare la prospettiva di redditività dell’investimento offrendo interessi più alti, cosa che peggiorava il grado di solvibilità. Ciò faceva si che la nostra spesa per inte­ressi sul debito pubblico sia più o meno doppia rispetto a quella di altri Paesi e da allora a oggi è sicuramente aumentata.
La soluzione sarebbe abbattere il debito pubblico, cosa più facile a dirsi che a farsi e quando si comincia a discutere sui possibili tagli chi dovrebbe esserne vittima si rifiuta categoricamente di farlo adducendo che siano coloro che non pagano le tasse a farlo. Richiesta del tutto legittima che però risulta difficile da attuare, vuoi perché richiede notevoli energie da spendere, vuoi in quanto non è detto che a fronte di ciò il ricavato sia sufficientemente rilevante.
E’ normale allora che, chi potrebbe patire le conseguenze di una diminuzione di contribuzioni difenda la propria mercede gettando l’occhio invidioso su chi  possieda qualcosa in più ( milionario o povero cristo che sia ).
Ci si può fare un’idea del punto di vista di costoro riportando un piccolo aneddoto tratto Dal discorso di Mario Savio alla cerimonia di laurea del figlio Nadav ( Citato da : Enrico Deaglio, Patria 1978 - 2008, Milano 2009, Il Saggiatore S.P.A. ).
Mio padre mi raccontò la storia del comunista che va da don Peppino per convincerlo della bontà del comunismo. Don Peppino disse : << Voi dunque credete che tutti gli uomini dovrebbero dividersi la ricchezza in parti uguali? >>.
<< Esattamente, don Peppino >>.
<< Bene, allora io volentieri divido la mia proprietà e ve ne regalo la metà >>:
<< Oh, grazie don Peppino >>.
<< Però un’altra domanda. Cosa capita se tra un anno voi avete scialacquato la vostra parte? >>:
<< Oh, don Peppino, in quel caso bisognerà di nuovo dividere in due >>.
Detta così, papale papale, molti fautori della giustizia sociale non ci fanno una grande figura e non ce la fanno perché se opportunisti rivelano una natura gretta almeno quanto quella dei “ cattivoni egoisti “. Se idealisti una visione fuori della realtà. Ma torniamo alle cure con le quali si pensa di sradicare il debito nostrano.
E’ risaputo che l’italiano medio sia un gran risparmiatore, sia nell’eventualità di aiutare i propri figli a sistemarsi, sia per far fronte a eventi gravi e imprevedibili e nel 2014 questo patrimonio veniva calcolato ( i dati sono sempre ricavati dal sopraddetto libro del professor Giulio Tremonti ), in circa 8000 miliardi ( 5000 in immobili, 3000 in redditi d'impresa e finanziari ). Con una simile cifra si potrebbe azzerare il debito pubblico rimanendo ancora con più di 5000 miliardi di euro di ricchezza e pare che questo fattore ( ovvero il rapporto ricchezza privata – debito pubblico ), venga considerato anche in sede europea come un elemento probatorio importante della potenziale solvibilità di uno stato. Non è infatti la stessa cosa avere conti pubblici migliori ma cittadini  indebitati sino al collo.
Il fatto è però che su questa millantata ricchezza non è da farvi proprio conto. Tanto per cominciare dal 2014 ad adesso, tra mancati introiti finanziari, aumento delle spese, crac bancari, crisi immobiliare, licenziamenti e quant’altro è probabile che la prosperità privata si sia drasticamente ridotta. In secondo luogo il patrimonio privato è immobilizzato in investimenti da cui non sempre lo Stato può esigere alcunché. In terzo luogo se lo Stato accentuasse il suo prelievo fiscale in  maniera consistente parecchi privati sarebbero costretti a vendere le proprietà e i titoli. Ciò comporterebbe un eccesso di offerta e quindi un deprezzamento degli stessi che finirebbe per ridurre in modo esponenziale le entrate. Come se non bastasse banche, fondi pensioni, fondi d’investimento e quant’altro potrebbero decidere, onde evitare di registrare perdite importanti, di ritirarsi dall’investire in Italia mentre altri gruppi, forse anche più micidiali, potrebbero speculare sul ribasso, con effetti a catena disastrosi.
Senza contare che una volta bruciate le ricchezze private non si farebbe altro che aumentare il numero dei poveri che a loro volte non potrebbero far altro che invocare assistenza pubblica, incrementando nuovamente la spesa statale.
Il professor Tremonti, sempre nel libro citato, offre un’altra soluzione. Premesso che in quanto risparmiatori spesso si acquistano proprietà, titoli o azioni di società estere ( lo studioso afferma che ogni anno, almeno sino al 2014, gl’italiani comperino più di 40.000 case fuori dalla madre patria ), sarebbe bene convincerli ad acquistare i nostri titoli di stato. Se così facessero per altro si eviterebbero le manovre speculative  contro l’Italia che invece sono possibili “ ingrassando “ i portafogli degli stati esteri.
Certo investire all’estero non è sempre più redditizio che farlo in Italia ma resta comunque la sensazione che si tratti di una strada poco percorribile visto che i nostri titoli già allora erano considerati carta straccia e quindi altamente a rischio.  E’ improbabile infatti che gli italiani più prudenti, a meno che non vi siano costretti, rischino di perdere tutti i loro risparmi finanziando in massa il debito pubblico. Quei soldi rappresentano la loro assicurazione contro ogni brutta evenienza e la finanza insegna che in questo caso il migliore investimento è in titoli “ sicuri “. Senza contare che l’esperienza greca e argentina insegnano che quando lo Stato sia alla canna del gas una delle prime cose che fa, assieme all’inasprimento fiscale è decretare l’emissione di titoli di stato a lunga scadenza e a interessi ridicoli che sostituiscano quelli “ buoni “ detenuti. Non male vero come soluzione che salvaguardi i milioni di piccoli risparmiatori italiani!
Altre strade non sono percorribili a meno che non s’imbocchi quella suicida del tagliare drasticamente le spese socio assistenziali, previdenziali e pensionistiche. Ancor peggio andrebbe se fatte in un momento di crisi economica e sociale in un contesto di bilancio pubblico già tendente al pareggio : in questo caso si scatenerebbero grandi fenomeni recessivi.

Bibliografia


Giulio Tremonti, Bugie e verità, Milano 1° edizione 2014, Arnoldo Mondadori Editore S.p.A