Perché l'uso del concetto di Paideia e di Cultura a 360°

Perché l'uso del concetto di Paideia e di cultura a 360°

Dall'iniziale esaltazione dell'aretè, ovvero il culto del coraggio, della valenza fisica e dell'astuzia, gli uomini di cultura e i politici greci vennero man mano delineando una più complessa idea di uomo valente. Costui infatti, accanto al coltivare l'àristoi, ossia l'essere prode, doveva curare : << .. Il padroneggiamento della parola ( .. ) qual segno della sovranità della mente .. >>, ( Werner Jaeger, Paideia, Milano II Edizione Bompiani Pensiero Occidentale 2011, RCS Libri S. p. A. ). E' così che il concetto greco di Paideia prese la sua forma definitiva.

Da allora sono passati più di 2000 anni ma la bellezza e il fascino della visione di come quei " grandi " ritenevano dovesse essere l'uomo ideale non solo non è sorpassata ma, stante la decadenza della nostra Società, è quanto mai attuale.

Ed egualmente fondamentale, oggi come allora è la determinazione delle qualità, virtù ed abilità che il soggetto d'elite debba aver maturato. Doti e nozioni che a mio parere possono rilevarsi soltanto cominciando a pubblicizzare e studiare quanto di meglio i ricercatori scientifici e i nostri " geni " abbiano scoperto nei loro studi attorno all'uomo e alla società.

.. Quanto al resto .. E' solo ciccia! ..

sabato 25 luglio 2015

Il Tipo 1 dell'Enneagramma, detto anche Perfezionista : settimo paragrafo



Vuole il comando ed è ansioso. E’ ipercontrollato e quindi rigido, anti istintivo e pedante.


Dall’ossessione perfezionistica  a essere giusto e migliore ne discendono tutta una serie di tratti tipici. Vediamone ora i primi.
Tanto per cominciare è ovvio che un tipo siffatto non tolleri di dover obbedire a decisioni prese da persone da poco. Vuoi quindi che non si fidi di costoro, vuoi che non  ritenga giuste quelle disposizioni, brigherà per avere lui la situazione sotto controllo e poter prendere le risoluzioni necessarie
Ciò, sommato alla paura di sbagliare, al timore dei giudizi negativi altrui, nonché alle difficoltà che riscontrerà a rimanere coerente coi propri principi, lo rende ansioso perché dubbioso e diffidente. E’ pur ovvio poi  che tutto ciò lo faccia diventare irresoluto sino a quando non sia assolutamente certo di aver fatto la cosa giusta.
Il voler essere ammodo poi, che come già detto in altri paragrafi, implica un autocontrollo “ bestiale “ sulla propria sfera istintuale e passionale, ha un bisogno assoluto del sostegno di un raziocinio privo di  pregiudizi che sceveri i casi alla ricerca del bandolo della matassa. Un simile risultato e il porselo come principio guida tuttavia fa si, spiega Naranjo[1], che il pensiero divenga : << .. Troppo logico e metodico con una perdita di creatività e intuizione .. >>.
Non solo, con una simile impostazione il soggetto ha : << .. Difficoltà a funzionare in situazioni non strutturate e ogni volta che si renda necessaria l’improvvisazione .. >>.
 << .. Il controllo sul sentimento ( .. ) porta non solo al blocco dell’espressione dell’emotività ma anche all’alienazione dall’esperienza emotiva .. >>, e al blocco affettivo.
L’autore parla inoltre di : << .. Orientamento antiistintivo. .. >>. La ricerca della perfezione infatti implica una : << .. Griglia cognitiva, uno squilibrio fra lealtà al dovere e dedizione al piacere, fra pesantezza e leggerezza, lavoro e gioco, ponderatezza matura e spontaneità infantile. .. >>.
Ciò, se da un lato lo fa risultare : << .. Noioso .. >>,  va : << .. Di pari passo con un assetto rigido, con un senso di goffaggine, una certa mancanza di spontaneità .. >>.
Altrove Naranjo[2] afferma che l’attenzione alla correttezza del nostro Perfezionista, che lo fa soppesare ogni singola parola e gesto, lo rende pedante.
Del resto, prosegue l’autore, vi sarebbe uno stretto rapporto tra rabbia e pedanteria in quanto quest’ultima è sempre accompagnata da un senso di superiorità ( che in questo caso deriva dall’essere una persona degna di rispetto ), volto a intimorire i presenti facilitando così la presa del controllo della situazione :
<< .. Il tipo Uno può far sentire a disagio con la sua sola presenza. Quando ci troviamo accanto a un pedante ci sentiamo spesso sbagliati, co­me se ci facesse difetto qualcosa. Non si tratta solo di correttezza ma della giusta virtù morale.
La rabbia benevolente, mascherata da buone intenzio­ni, esibisce una bontà deliberata ( ovvero non spontanea ), come nei maestri di scuola ( descritti da Dickens nei suoi racconti ) che pretendono di giusti­ficare la severità appellandosi al bene degli scolari. .. >>.









[1] Claudio Naranjo, Carattere e nevrosi, Roma 1996, Astrolabio
[2] Claudio Naranjo, Gli Enneatipi in psicoterapia, Roma 2003, Casa Editrice Astrolabio – Ubaldini Editore

venerdì 17 luglio 2015

Il Tipo 1 dell'Enneagramma, detto anche Perfezionista : sesto paragrafo

Pulito, meticoloso, asceta e puritano


E’ ovvio che una persona educata alla decenza e all’intransigenza moralistica sia schizzinosa e pulitissima.
E’ poi molto ordinato, orientamento che secondo Naranjo[1] è : ( << .. Un tipico tratto del carattere coatto .. >>, da trascendere la meticolosità. Non ci si deve sorprendere dunque se lo si vede controllare minuziosamente la presenza, la pulizia e l’allineamento dei soprammobili, se torna indietro ad accertarsi nuovamente se ha chiuso la porta o i rubinetti dell’acqua e del gas.
Nel fare le cose segue un suo protocollo improntato alla correttezza che non abbandona neppure,  pena la sofferenza di scrupoli  inenarrabili, se si presentano modi più spicci e popolari per ottenere ciò che gli necessita.
Rispetta quindi gli orari e la via gerarchica. Non approfitta, né  delle conoscenze, né della situazione,  neppure se ciò va a discapito della qualità della sua stessa vita. Arriva perfino al punto di analizzare il proprio comportamento e mettere per iscritto modalità, ragioni e cause che lo hanno determinato, nonché il giudizio che ne dà, quasi che il fissarlo sulla carta lo costringa a essere più profondo e dunque maggiormente “ giusto “ . Salvo dolersi con più forza per ciò che poteva fare meglio.
E’ il classico tipo poi che controlla più volte i risultati dei calcoli, che non ama il lussureggiare della vegetazione e più in generale della natura e quindi cerca di controllarla dandogli una forma, in modo da rendergliela più rassicurante.
E’ talmente pignolo da vedere difetti perfino in quei lavori che gli altri giudicherebbe ben fatti, esamina l’accaduto in tutti i suoi dettagli, tiene all’etichetta, sia nel vestire, sia nel  parlare, sia nello stare con gli altri.
Secondo Rohr ed Ebert[2] gli 1 : << .. Asceti e puritani .. >>, sperano che  raggiungendo : << .. L’ideale ci si possa redimere. .. >>. Anelano poi a incontrare chi sia : << .. “ Perfetto “ .. >>, salvo rimanerne delusi scoprendone : << .. Lacune e punti deboli .. >>.  Per questo sono spesso religiosi : << .. “ Dio è perfetto “. .. >>.





[1] Claudio Naranjo, Carattere e nevrosi, Roma 1996, Astrolabio. L’autore qui riporta quanto scritto da Wilhelm Reich in Analisi del carattere, Varese 1973, Sugarco Edizioni S.r.l.
[2] Richard Rohr e Andreas Ebert, Scoprire l’Enneagramma, Cinisello Balsamo 1993, San Paolo Edizioni

giovedì 9 luglio 2015

Il Tipo 1 dell'Enneagramma, detto anche Perfezionista : quinto paragrafo

Super-Io, doppia vita, perdono e insoddisfazione


Altro elemento fondamentale del processo della formazione reattiva e quindi della personalità del nostro Perfezionista è il forte critico interno ( super-Io ), che il tipo 1 sviluppa in seguito alle reprimende patite e che è possibile definire come “ la coscienza dei propri doveri “.
Secondo la Palmer[1] infatti, allorquando i desideri risibili diventino pressanti il critico interno : << .. Impedisce di prendere consapevolezza delle emozioni inaccettabili. Se i desideri profondi traboccano dall'inconscio, il critico minaccerà immediatamente una punizione per impedirlo. Ogni minimo errore assume così proporzioni spaventose. L'attenzione è calamitata continuamente dagli sbagli e dalle opportune misure correttive. .. >>.
L’autrice  lo paragona a una sorta di : << .. Sorvegliante interiore .. >>, che, assoggettando : << .. Continuamente l’individuo  a un’accusa interiore che la maggior parte delle persone si rivolgerebbe solo se avesse commesso un serio crimine .. >>, gli fa : << .. Differire il piacere .. >>, a dopo aver compiuto il proprio dovere. Ciò per altro, procurandogli  un grande senso d’integrità, glielo fa parere come : << .. La parte migliore e più elevata del suo pensiero. .. >>.
L’estenuante tensione cui il Super-Io assoggetta il nostro 1 e che lo rende irritabile nonostante l’aplomb, viene meno quando il soggetto si sente a posto con la coscienza. In questo caso infatti, sia il senso di malessere che la vocina interiore spariscono, il nostro Tipo si rilassa e si sente a proprio agio.
Il fatto tuttavia, prosegue la psichiatra, che le sue pulsioni istintive vengano regolarmente frustrate perché meno importanti dei doveri, causa : << .. Un’irritazione altrettanto cronica che ribolle sotto la superficie della correttezza formale. .. >>. Ciò fa si che l’1 sia particolarmente infastidito da persone gaudenti. Egli non può infatti stimare persone che non facciano nulla per estirpare da sé voglie che siano ben poco edificanti.
Qualora tuttavia la forza delle passioni lascive diventino incontenibili e questo è tipico di momenti di debolezza oppure di personalità insicure, può capitare che l’1 divenga incapace di tenere a freno gli istinti. In questi casi il nostro Tipo, onde salvare le apparenze e non cadere preda d’insopportabili critiche o peggio, manterrà una facciata irreprensibile anche se in segreto si lascerà andare a sfrenati divertimenti.  
Del resto, forse proprio perché è consapevole che lo sforzo necessario a mantenersi onesti è così alto, il Perfezionista è particolarmente propenso ad accordare il perdono a chi lo chieda sinceramente. La cosa infatti implica da parte del reo il riconoscimento della colpa nonché la promessa d’impegnarsi a non ricadervi più e quando ciò accade il Perfezionista vede spezzarsi le ragioni che lo rendono così critico verso chi sbaglia, ossia l’acquiescenza del prossimo al “ male “.
La compulsione del Perfezionista a fare bene, fatto che, come si è  già detto, lo porta  a tacitare qualunque pulsione possa apparirgli risibile, implica pure “ l’amputazione “ di una parte della sua personalità. L’annichilimento degli stimoli indesiderati infatti, porta al disconoscimento di diverse sue potenzialità, nonché una sorta di pigrizia, conseguenza appunto dello sforzo volto al tacitamento dei desideri e quindi a un impoverimento spirituale.
Ciò significa, spiega Naranjo[2] : << .. Che nel suo atteggiamento verso la vita c'è una perdita del senso dell'essere[3] che ( .. ), si manifesta come un’” inconsapevolezza dell'inconsapevolezza ' .. >>, e la cosa, oltre a renderlo : << .. Particolarmente soddisfatto di sé .. >>, comporta : << .. Un ottundimento psicologico .. >>.
Non solo. L’insoddisfazione inconscia causata dal : << .. Senso di carenza o di “ povertà di spirito “ .. >>, lo spinge a dare un senso alla propria vita e quindi a riempirla di contenuti e valore, brigando affinché sia lui che gli altri divengano “ perfetti “.
Il voler fare bene tuttavia, ovvero il cercar di diventare qualcosa che valga la pena essere al fine di sentirsi “ ok! “, non significa affatto essere virtuoso ma sforzarsi di esserlo e tra le due cose passa una bella differenza. Non è un caso che il celebre psichiatra cileno citi il detto di Lao-Tse che recita : “ La virtù  non si sforza di essere virtuosa, proprio per questo è virtù “.
Inoltre, dire che : << .. Nel tipo Uno il sostituto dell'essere è la virtù sarebbe troppo limitativo, perché a volte la qualità della vita non è tanto di tipo moralistico quanto ' correttivo ' : una buona corrispondenza fra il comporta­mento e un mondo di regole; oppure una buona corrispondenza fra lo svolgersi della vita e un codice implicito o esplicito. .. >>.





[1] Helen Palmer, L’Enneagramma, Roma, 1996, Astrolabio
[2] Claudio Naranjo, Carattere e nevrosi, Roma 1996, Astrolabio
[3] Che Naranjo chiama : << .. Oscuramento ontico .. >>

giovedì 2 luglio 2015

Scuola latina e anglosassone

Raffronti tra l’istruzione latina e anglosassone : le conclusioni di Gustave Le Bon

Nuovamente tratto dal libro intitolato : “ Psicologia delle folle “[1], di Gustave Le Bon ( cui si è brevemente accennato nel precedente post ), è il presente stralcio riguardante il raffronto tra l’impostazione scolastica dei Paesi Latini e quella anglosassone, da cui emerge un quadro che, seppur riguardante la situazione di un secolo fa ( Il libro in questione è stato pubblicato nel 1895 ), nelle sue linee generali è tutt’altro che superato. Seguiamone dunque i seguenti stralci :
<< .. Il primo pericolo di questa educazione - giu­stamente definita latina - è di poggiare su un errore psicologico fondamentale: l’idea che la pappagallesca recitazione dei manuali sviluppi l’intelligenza. Si cerca perciò di imparare il più possibile e, dalle elementari fino alla laurea e al concorso, il giovane non fa che ingurgitare il contenuto dei libri, senza mai esercitare il suo giudizio o la sua iniziativa. L’istruzione, per lui, consiste nel ripetere e nell’obbedire. « Imparare le lezioni, sapere a memoria una grammatica o un sommario, ripetere bene, imi­tare bene, ecco - scriveva un ex-ministro dell’i­struzione pubblica, Jules Simon - una ridicola educazione in cui ogni sforzo è un atto di fede nell’infallibilità del maestro, ed ha il risultato di sminuirci e renderci impotenti ».
Se questa educazione fosse soltanto inutile, potremmo limitarci a compiangere i disgrazia­ti giovani ai quali, invece di tante cose necessa­rie, si preferisce insegnare la genealogia dei fi­gli di Clotario, le lotte tra Neustria ed Austrasia, o le classificazioni zoologiche; ma questa edu­cazione presenta il pericolo molto più serio di ispirare a chi l’ha ricevuta un disgusto violento della condizione in cui è nato, e l’intenso desi­derio di uscirne. L’operaio non vuole più re­stare operaio, il contadino non vuole più essere contadino, e l’ultimo dei borghesi ritiene che l’unica carriera possibile per i suoi figli sia quella statale. Invece di preparare gli uomi­ni per la vita, la scuola li prepara per gli im­pieghi pubblici in cui la riuscita non esige nem­meno un barlume di iniziativa. Nei gradini bas­si della scala sociale, essa crea gli eserciti prole­tari malcontenti della loro sorte e sempre pron­ti alla rivolta; in quelli alti una borghesia fri­vola, al tempo stesso scettica e credulona, im­pregnata di fiducia superstiziosa nello Stato provvidenziale - che tuttavia critica senza po­sa - sempre pronta a scaricare sul governo la col­pa dei propri errori, incapace di intraprendere qualunque cosa senza l’intervento dell’autorità.
Lo Stato che fabbrica a colpi di manuali tut­ti questi diplomati può utilizzarne soltanto una piccola parte ed è costretto a lasciare gli altri senza impiego. Bisogna dunque rassegnarsi a nutrire i primi e ad avere i secondi come nemi­ci. Dall’alto al basso della piramide sociale, la massa formidabile dei diplomati e dei laureati stringe oggi d’assedio le carriere. Un negozian­te molto difficilmente riesce a trovare un agen­te che lo rappresenti nelle colonie, quando in­vece i più modesti impieghi statali sono ambiti da migliaia di candidati. Nel solo dipartimento della Senna vi sono ventimila istitutori ed isti­tutrici disoccupati che, disprezzando i campi e gli opifici, si rivolgono allo Stato per vivere.
Poiché il numero degli eletti è limitato, quel­lo dei malcontenti è per forza immenso. Questi ultimi son pronti a tutte le rivoluzioni, quali ne siano i capi o gli scopi. Con l’acquisizione di conoscenze inutilizzabili l’uomo si trasfor­ma sempre in un ribelle.
( .. ) Forse potremmo accettare tutti gli inconve­nienti della nostra educazione classica - anche se non producesse che declassati e scontenti - purché l’acquisizione superficiale di tante no­zioni e la ripetizione pedantesca di tanti manua­li servissero almeno ad elevare il livello dell’intelligenza. Ma si tratta davvero di un risultato raggiungibile? Ahimè, no. Il giudizio, l’espe­rienza, l’iniziativa, il carattere sono le condi­zioni di successo nella vita e non si ricevono dai libri. I libri sono dizionari utili da consul­tare, dei quali è però assolutamente superfluo immagazzinare nella mente lunghi frammenti.
Taine ha dimostrato molto bene nel brano che segue come l’istruzione professionale possa sviluppare l’intelligenza in una forma mai rag­giunta dall’istruzione classica:
Le idee si formano soltanto nel loro ambiente na­turale e normale; ciò che le fa germogliare, sono le innumerevoli impressioni sensibili che il giovane ri­ceve ogni giorno nell’opificio, nella miniera, in un tribunale, in uno studio, in un cantiere, in un ospe­dale, di fronte agli utensili, ai materiali, alle diverse tecniche di lavorazione, in presenza dei clienti, degli operai e dell'opera bene o mal riuscita, fonte di gua­dagni o di perdite: ecco le piccole percezioni carat­teristiche degli occhi, dell’orecchio, delle mani e per­fino dell’odorato, che involontariamente raccolte e in­consapevolmente elaborate si organizzano in lui per suggerirgli presto o tardi una combinazione nuova, una semplificazione, un mezzo per fare economia, per perfezionare o inventare. Di tutti questi contatti pre­ziosi, di tutti questi elementi assimilabili e indispen­sabili, il giovane francese è oggi privato proprio du­rante l’età più feconda: per sei o sette anni rimane sequestrato in una scuola, lontano dall’esperienza di­retta o personale che gli avrebbe dato la nozione esat­ta e viva delle cose, degli uomini e dei diversi modi di amministrarli.
... Almeno nove su dieci hanno così perduto tempo e fatica per molti anni della loro vita, e si trattava di anni efficaci, importanti o addirittura decisivi: cal­colate prima di tutto la metà o i due terzi di coloro che si presentano agli esami, cioè i respinti; tra i promossi, i laureati e i diplomati calcolate ancora la metà o i due terzi, voglio dire tutti coloro che si sono abbrutiti. Si chiede loro troppo pretendendo che il tal giorno, su una sedia o davanti a una lavagna, diventino - per due ore e per tutto quanto riguarda un certo gruppo di scienze - diventino, dicevo, veri repertori viventi d’ogni conoscenza umana. Magari riescono a diventar tutto questo, o pressappoco, in un giorno determinato, per due ore, ma un mese do­po non lo sono più; non potrebbero più ripresen­tarsi all’esame; le nozioni troppo numerose e troppo pesanti sfuggono di continuo alla loro mente, né ven­gono sostituite da altre. Il vigore cerebrale si è spezzato; la linfa vitale si è esaurita; quando appare l’uo­mo fatto, si tratta spesso di un uomo finito. E costui, sistemato, sposato, rassegnato a girare in cerchio e sempre nello stesso cerchio, si rinchiude nel suo com­pito limitato; lo adempie correttamente ma non fa nulla di più. Tale è il rendimento medio; e, certo, il risultato non vale la spesa. In Inghilterra, in Ame­rica, o in qualsiasi altro paese dove, come nella Fran­cia prima del 1789, si segue un procedimento inver­so, il rendimento è uguale o superiore.
L’illustre storico mostra poi la differenza tra il nostro sistema e quello degli anglosassoni. Presso questi ultimi l’insegnamento non provie­ne dal libro, ma dalle cose stesse. L’ingegnere, per esempio, si forma in uno stabilimento e mai in una scuola, e ciascuno può arrivare esat­tamente al grado che la sua intelligenza com­porta, operaio o capomastro se è incapace di andare più in là, ingegnere se le sue attitudini lo consentono. Questo procedimento è molto più democratico e utile alla società di quello che fa dipendere tutta la carriera di un indivi­duo da un esame di qualche ora subito tra i diciotto e i vent’anni.
L’allievo, ammesso ancora giovanissimo nell’ospe­dale, nella miniera, nella fabbrica, nell’ufficio dell’ar­chitetto o dell’uomo di legge, compie il suo tirocinio pressappoco come accade da noi al giovane di stu­dio o all’apprendista di bottega. In precedenza, ha potuto seguire qualche corso preparatorio e somma­rio al fine di avere uno schema già pronto per inse­rirvi le osservazioni che farà in seguito. Può sempre disporre di corsi tecnici da seguire durante le ore libere, per coordinare le esperienze via via compiute. Con un simile sistema, la capacità pratica cresce e si sviluppa da sola, fino al grado esatto che le facoltà dell'allievo consentono e nella direzione richiesta dal suo compito futuro e dall’attività particolare cui va a mano a mano adattandosi. In questo modo, in Inghilterra e negli Stati Uniti, il giovane riesce presto a manifestare tutte le sue capacità. A partire dai venticinque anni e anche prima, se la sostanza e le basi non gli mancano, diventa non soltanto un utile esecutore, ma anche un individuo dotato di iniziativa; non soltanto un ingranaggio, ma anche un motore. In Francia, dove ha prevalso il procedimento inverso, che ad ogni generazione si fa più formalistico, il totale delle energie perdute è enorme. .. >>.
Ora io non so come la scuola anglosassone si sia evoluta da allora ma non mi risulta che la nostra abbia smesso di pretendere dagli allievi la mera memorizzazione d’interi manuali. E se in linea di principio avesse ragione il Taine?





[1] Gustave le Bon, Psicologia delle folle, Milano III Ristampa Saggistica TEA 2011, TEA – Tascabili degli Editori Associati S.p.A.

Il Tipo 1 dell'Enneagramma, detto anche Perfezionista : quarto paragrafo

 

      

      In quanto moralista vuole battersi per una     giusta causa


L’essere stato allevato nell’ottica che si debba fare bene ed essere buoni ha comportato, per l’1, l’assoggettamento a una così dura autodisciplina da non poter sopportare la mollezza, il pressapochismo e i vizi altrui.
La sua integrità morale tuttavia,  nel caso come già accennato che l'1 reagisca dominato da passioni risibili come la gelosia o l’invidia, non gli consente di sfogare la propria rabbia sugli altri. Ciò significa che si conterrà sino a quando, dopo aver ponderato per benino il caso, non si sia messo in condizione d’essere inattaccabile. E’ solo a questo punto che la coscienza gli permetterà  di esplodere il livore represso contro l’ennesimo torto giocatogli dal prossimo.
Così accade, spiega la Palmer[1], che : << .. Quando sono sicuri della propria posi­zione, i Perfezionisti si trovano a disposizione potenti ondate di energia. Il critico interno si ritira ( .. ) e allora  l'espressione della rabbia trattenuta è sentita come liberante. .. >>.
Il fatto di percepirsi migliore dunque, fa si che il nostro Tipo si senta in diritto di far regnare il bene per mezzo di strumenti propri della rabbia quali la critica, la prepotenza e la volontà di dominio. Di tali modi però, non avverte il legame con una passione esecrabile come l’ira, visto che i nobili fini perseguiti fanno si ch’essa appaia necessaria piuttosto che un malanno. E questo anche se  poi per raggiungere i suoi scopi elevati potrebbe essere costretto a torturare, uccidere, ferire, tradire, eccetera.
Al riguardo perciò Naranjo[2] scrive : << .. Siamo di fronte a una persona cui piace lottare per  una giusta causa. Ma sarebbe un errore pensare che sia la causa a stimolarlo alla lotta, perché la verità è l'opposto : la sua aggressività necessita di una giusta causa per sentirsi giustificata. .. >>.
In questo caso il considerarsi generoso e libero da interessi personali : << .. Diventa un passaporto per il potere, una strategia. Sostenendo una purezza che ra­senta la religiosità, l'Uno manipola gli altri attraverso la  'moralità ', o meglio il moralismo. " Tu devi .. ", " Al rogo se non .. ". L'impurità della persona ' pura ' sta appunto nella manipolazione implicita del culto della purezza. Se ci chiediamo dove sia la mancanza di virtù in una persona eccessivamente virtuosa, dobbiamo concludere che si cela appunto dietro questo eccesso di virtù : il ricorso alla virtù per distinguersi, per godere di speciali privilegi, per sentirsi superiore. Diversamente da ciò che afferma, la virtù del Purita­no non è bontà amorevole ma un mezzo per comperare amore. Riecheggia il comportamento del bambino che, comportandosi palesemente bene, sta dicendo: " Vedi come sono bravo? Adesso dammi quello che mi merito! " .. >>..
Si ha quindi a che fare con una personalità che :
a ) sebbene secondo Naranjo[3] sia : << .. Critica ed esigente non .. >>, è : << .. Odiosa e sgarbata .. >>, o violenta ma è un tipo : << .. Controllatissimo e più che educato .. >>;
b ) per la Palmer[4] gli 1 diventano : << .. Consapevoli della propria rabbia. .. >>, quando arrivano : << .. Al punto di rottura .. >>. Nutrono poi : << .. Giudizi rigorosi che, nel linguaggio del corpo si traducono in rigidità muscolare .. >>, e : << .. Criticano in continuazione i comportamenti altrui ma, ( .. ) credono di farlo perché ' oggi sono molto ca­rico ', o ' forse sono un po' irritato ', o ' mi sono stancato troppo '. .. >>.  Tanto è vero che di solito, dicono Rohr ed Ebert[5] è chi li : << .. Circonda .. >>, a capire per primo che in realtà sono furiosi.




[1] Helen Palmer, L’Enneagramma, Roma 1996, Astrolabio
[2] Claudio Naranjo, Gli Enneatipi in psicoterapia, Roma 2003, Casa Editrice Astrolabio – Ubaldini Editore
[3] Claudio Naranjo, Carattere e nevrosi, Roma 1996, Astrolabio
[4] Helen Palmer, L’Enneagramma, Roma 1996, Astrolabio
[5] Richard Rohr e Andreas Ebert, Scoprire l’Enneagramma, Cinisello Balsamo 1993, San Paolo Edizioni

Raffronti tra strategie politiche : le conclusioni di Gustave Le Bon

Raffronti tra strategie politiche : le conclusioni di Gustave Le Bon


Confesso che fino a 15 giorni fa non sapevo che nel 1842 fosse nato a Nogent-Le-Retrou un certo Gustave Le Bon, che poi morì nel 1931 a Marne-La-Coquette. Ovviamente ignoravo pure che avesse scritto, tra l’altro, “ Psicologia delle folle “, opera pubblicata nel 1895. Così come non avevo idea che seppur i suoi lavori fossero visti con diffidenza dal mondo accademico francese a lui contemporaneo, al punto che spesso questo li criticò ferocemente, fu rivalutato da Freud e Schumpeter, nonché da Horkheimer e da Adorno, seppur con riserve.
Mi ha poi sorpreso non poco il fatto che Piero Melograni, curatore dell’introduzione dell’edizione del volume da me esaminata[1], abbia scritto che l’opera di Le Bon interessò fior di politici tra cui Benito Mussolini, che nel 1926 affermava di averne letto tutti i libri e di ritenere la sua Psicologia delle folle, un’o­pera capitale, che spesso rileggeva.
E questo non tanto perché io sia un ammiratore di quel dittatore ma in quanto tutto ciò non ha fatto altro che aumentare l’interesse suscitato da quel libro e quindi la voglia di leggerlo.
I risultati, del resto, non hanno disatteso le aspettative visto che, a distanza di circa 120 anni, una buona parte del suo contenuto appare ancora attuale.
Tale infatti, a esempio, mi è parso il paragrafo intitolato : Le istituzioni politiche e sociali. Seguiamone pertanto qualche spezzone :
<< .. Le istituzioni e i governi rappresentano il prodotto della razza. Son creati da un’epoca e non la creano. I popoli non vengono gover­nati secondo i capricci del momento, ma come il loro carattere impone. Occorrono a volte se­coli per formare un regime politico, e secoli per mutarlo. Le istituzioni non hanno virtù in­trinseche; non sono in sé né buone né cattive. Buone ad un momento dato e per un dato po­polo, possono diventare pessime per un altro.
Un popolo non ha il potere di cambiare real­mente le sue istituzioni. Può certo, a prezzo di rivoluzioni violente, modificarne il nome, ma non l’essenza. I nomi sono vane etichette di cui uno storico, preoccupato dal valore reale delle cose, non dovrebbe tenere conto. Ecco perché il paese più democratico del mondo è l’Inghil­terra, sottomessa tuttavia ad un regime monar­chico, mentre gli Stati latino-americani, retti da costituzioni repubblicane, subiscono i più pe­santi dispotismi. Il destino dei popoli è deter­minato dal loro carattere e non dai loro gover­ni. Ho tentato di stabilire questa verità in un precedente volume, appoggiandomi su esempi inoppugnabili.
È dunque un compito puerile ed un inutile esercizio retorico quello di perdere il proprio tempo a fabbricare costituzioni. La necessità ed il tempo si incaricano da soli di elaborarle quan­do sono lasciati liberi di agire. Il grande storico Macaulay, in una pagina che tutti gli uomini politici dei paesi latini dovrebbero imparare a memoria, dimostra che gli anglosassoni si sono sempre regolati così. Dopo aver spiegato che i benefici delle leggi, dal punto di vista della ra­gion pura, sono un caos di assurdità e di con­traddizioni, il Macaulay paragona dozzine di co­stituzioni, travolte dalle convulsioni dei popoli latini d’Europa e d’America, con la costituzio­ne inglese, e dimostra che quest’ultima è stata modificata lentissimamente, un pezzo alla vol­ta, sotto l’influenza di necessità immediate e mai di ragionamenti speculativi. « Non preoc­cuparsi mai della simmetria e invece preoccu­parsi molto dell’utilità; non eliminare mai una anomalia per il solo fatto che si tratta di un’a­nomalia; non fare mai innovazioni a meno che non si avverta un qualche disagio, ed in tal ca­so innovare appena quanto basta per elimina­re quel disagio; non votare mai una proposta più ampia di quel che richieda il caso partico­lare al quale si vuol porre rimedio; tali sono le regole che dai tempi di re Giovanni fino a quel­li della regina Vittoria, hanno generalmente guidato le deliberazioni dei nostri duecentocinquanta parlamentari. >>.
Non sarebbe magari il caso di approfondire l’argomento e valutare seriamente se la qualità della nostra legislazione potesse guadagnare dei punti ispirandosi al punto di vista del Macaulay?








[1] Gustave le Bon, Psicologia delle folle, Milano III Ristampa Saggistica TEA 2011, TEA – Tascabili degli Editori Associati S.p.A.