Perché l'uso del concetto di Paideia e di Cultura a 360°

Perché l'uso del concetto di Paideia e di cultura a 360°

Dall'iniziale esaltazione dell'aretè, ovvero il culto del coraggio, della valenza fisica e dell'astuzia, gli uomini di cultura e i politici greci vennero man mano delineando una più complessa idea di uomo valente. Costui infatti, accanto al coltivare l'àristoi, ossia l'essere prode, doveva curare : << .. Il padroneggiamento della parola ( .. ) qual segno della sovranità della mente .. >>, ( Werner Jaeger, Paideia, Milano II Edizione Bompiani Pensiero Occidentale 2011, RCS Libri S. p. A. ). E' così che il concetto greco di Paideia prese la sua forma definitiva.

Da allora sono passati più di 2000 anni ma la bellezza e il fascino della visione di come quei " grandi " ritenevano dovesse essere l'uomo ideale non solo non è sorpassata ma, stante la decadenza della nostra Società, è quanto mai attuale.

Ed egualmente fondamentale, oggi come allora è la determinazione delle qualità, virtù ed abilità che il soggetto d'elite debba aver maturato. Doti e nozioni che a mio parere possono rilevarsi soltanto cominciando a pubblicizzare e studiare quanto di meglio i ricercatori scientifici e i nostri " geni " abbiano scoperto nei loro studi attorno all'uomo e alla società.

.. Quanto al resto .. E' solo ciccia! ..

giovedì 2 luglio 2015

Raffronti tra strategie politiche : le conclusioni di Gustave Le Bon

Raffronti tra strategie politiche : le conclusioni di Gustave Le Bon


Confesso che fino a 15 giorni fa non sapevo che nel 1842 fosse nato a Nogent-Le-Retrou un certo Gustave Le Bon, che poi morì nel 1931 a Marne-La-Coquette. Ovviamente ignoravo pure che avesse scritto, tra l’altro, “ Psicologia delle folle “, opera pubblicata nel 1895. Così come non avevo idea che seppur i suoi lavori fossero visti con diffidenza dal mondo accademico francese a lui contemporaneo, al punto che spesso questo li criticò ferocemente, fu rivalutato da Freud e Schumpeter, nonché da Horkheimer e da Adorno, seppur con riserve.
Mi ha poi sorpreso non poco il fatto che Piero Melograni, curatore dell’introduzione dell’edizione del volume da me esaminata[1], abbia scritto che l’opera di Le Bon interessò fior di politici tra cui Benito Mussolini, che nel 1926 affermava di averne letto tutti i libri e di ritenere la sua Psicologia delle folle, un’o­pera capitale, che spesso rileggeva.
E questo non tanto perché io sia un ammiratore di quel dittatore ma in quanto tutto ciò non ha fatto altro che aumentare l’interesse suscitato da quel libro e quindi la voglia di leggerlo.
I risultati, del resto, non hanno disatteso le aspettative visto che, a distanza di circa 120 anni, una buona parte del suo contenuto appare ancora attuale.
Tale infatti, a esempio, mi è parso il paragrafo intitolato : Le istituzioni politiche e sociali. Seguiamone pertanto qualche spezzone :
<< .. Le istituzioni e i governi rappresentano il prodotto della razza. Son creati da un’epoca e non la creano. I popoli non vengono gover­nati secondo i capricci del momento, ma come il loro carattere impone. Occorrono a volte se­coli per formare un regime politico, e secoli per mutarlo. Le istituzioni non hanno virtù in­trinseche; non sono in sé né buone né cattive. Buone ad un momento dato e per un dato po­polo, possono diventare pessime per un altro.
Un popolo non ha il potere di cambiare real­mente le sue istituzioni. Può certo, a prezzo di rivoluzioni violente, modificarne il nome, ma non l’essenza. I nomi sono vane etichette di cui uno storico, preoccupato dal valore reale delle cose, non dovrebbe tenere conto. Ecco perché il paese più democratico del mondo è l’Inghil­terra, sottomessa tuttavia ad un regime monar­chico, mentre gli Stati latino-americani, retti da costituzioni repubblicane, subiscono i più pe­santi dispotismi. Il destino dei popoli è deter­minato dal loro carattere e non dai loro gover­ni. Ho tentato di stabilire questa verità in un precedente volume, appoggiandomi su esempi inoppugnabili.
È dunque un compito puerile ed un inutile esercizio retorico quello di perdere il proprio tempo a fabbricare costituzioni. La necessità ed il tempo si incaricano da soli di elaborarle quan­do sono lasciati liberi di agire. Il grande storico Macaulay, in una pagina che tutti gli uomini politici dei paesi latini dovrebbero imparare a memoria, dimostra che gli anglosassoni si sono sempre regolati così. Dopo aver spiegato che i benefici delle leggi, dal punto di vista della ra­gion pura, sono un caos di assurdità e di con­traddizioni, il Macaulay paragona dozzine di co­stituzioni, travolte dalle convulsioni dei popoli latini d’Europa e d’America, con la costituzio­ne inglese, e dimostra che quest’ultima è stata modificata lentissimamente, un pezzo alla vol­ta, sotto l’influenza di necessità immediate e mai di ragionamenti speculativi. « Non preoc­cuparsi mai della simmetria e invece preoccu­parsi molto dell’utilità; non eliminare mai una anomalia per il solo fatto che si tratta di un’a­nomalia; non fare mai innovazioni a meno che non si avverta un qualche disagio, ed in tal ca­so innovare appena quanto basta per elimina­re quel disagio; non votare mai una proposta più ampia di quel che richieda il caso partico­lare al quale si vuol porre rimedio; tali sono le regole che dai tempi di re Giovanni fino a quel­li della regina Vittoria, hanno generalmente guidato le deliberazioni dei nostri duecentocinquanta parlamentari. >>.
Non sarebbe magari il caso di approfondire l’argomento e valutare seriamente se la qualità della nostra legislazione potesse guadagnare dei punti ispirandosi al punto di vista del Macaulay?








[1] Gustave le Bon, Psicologia delle folle, Milano III Ristampa Saggistica TEA 2011, TEA – Tascabili degli Editori Associati S.p.A.

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