Perché l'uso del concetto di Paideia e di Cultura a 360°

Perché l'uso del concetto di Paideia e di cultura a 360°

Dall'iniziale esaltazione dell'aretè, ovvero il culto del coraggio, della valenza fisica e dell'astuzia, gli uomini di cultura e i politici greci vennero man mano delineando una più complessa idea di uomo valente. Costui infatti, accanto al coltivare l'àristoi, ossia l'essere prode, doveva curare : << .. Il padroneggiamento della parola ( .. ) qual segno della sovranità della mente .. >>, ( Werner Jaeger, Paideia, Milano II Edizione Bompiani Pensiero Occidentale 2011, RCS Libri S. p. A. ). E' così che il concetto greco di Paideia prese la sua forma definitiva.

Da allora sono passati più di 2000 anni ma la bellezza e il fascino della visione di come quei " grandi " ritenevano dovesse essere l'uomo ideale non solo non è sorpassata ma, stante la decadenza della nostra Società, è quanto mai attuale.

Ed egualmente fondamentale, oggi come allora è la determinazione delle qualità, virtù ed abilità che il soggetto d'elite debba aver maturato. Doti e nozioni che a mio parere possono rilevarsi soltanto cominciando a pubblicizzare e studiare quanto di meglio i ricercatori scientifici e i nostri " geni " abbiano scoperto nei loro studi attorno all'uomo e alla società.

.. Quanto al resto .. E' solo ciccia! ..

giovedì 2 luglio 2015

Scuola latina e anglosassone

Raffronti tra l’istruzione latina e anglosassone : le conclusioni di Gustave Le Bon

Nuovamente tratto dal libro intitolato : “ Psicologia delle folle “[1], di Gustave Le Bon ( cui si è brevemente accennato nel precedente post ), è il presente stralcio riguardante il raffronto tra l’impostazione scolastica dei Paesi Latini e quella anglosassone, da cui emerge un quadro che, seppur riguardante la situazione di un secolo fa ( Il libro in questione è stato pubblicato nel 1895 ), nelle sue linee generali è tutt’altro che superato. Seguiamone dunque i seguenti stralci :
<< .. Il primo pericolo di questa educazione - giu­stamente definita latina - è di poggiare su un errore psicologico fondamentale: l’idea che la pappagallesca recitazione dei manuali sviluppi l’intelligenza. Si cerca perciò di imparare il più possibile e, dalle elementari fino alla laurea e al concorso, il giovane non fa che ingurgitare il contenuto dei libri, senza mai esercitare il suo giudizio o la sua iniziativa. L’istruzione, per lui, consiste nel ripetere e nell’obbedire. « Imparare le lezioni, sapere a memoria una grammatica o un sommario, ripetere bene, imi­tare bene, ecco - scriveva un ex-ministro dell’i­struzione pubblica, Jules Simon - una ridicola educazione in cui ogni sforzo è un atto di fede nell’infallibilità del maestro, ed ha il risultato di sminuirci e renderci impotenti ».
Se questa educazione fosse soltanto inutile, potremmo limitarci a compiangere i disgrazia­ti giovani ai quali, invece di tante cose necessa­rie, si preferisce insegnare la genealogia dei fi­gli di Clotario, le lotte tra Neustria ed Austrasia, o le classificazioni zoologiche; ma questa edu­cazione presenta il pericolo molto più serio di ispirare a chi l’ha ricevuta un disgusto violento della condizione in cui è nato, e l’intenso desi­derio di uscirne. L’operaio non vuole più re­stare operaio, il contadino non vuole più essere contadino, e l’ultimo dei borghesi ritiene che l’unica carriera possibile per i suoi figli sia quella statale. Invece di preparare gli uomi­ni per la vita, la scuola li prepara per gli im­pieghi pubblici in cui la riuscita non esige nem­meno un barlume di iniziativa. Nei gradini bas­si della scala sociale, essa crea gli eserciti prole­tari malcontenti della loro sorte e sempre pron­ti alla rivolta; in quelli alti una borghesia fri­vola, al tempo stesso scettica e credulona, im­pregnata di fiducia superstiziosa nello Stato provvidenziale - che tuttavia critica senza po­sa - sempre pronta a scaricare sul governo la col­pa dei propri errori, incapace di intraprendere qualunque cosa senza l’intervento dell’autorità.
Lo Stato che fabbrica a colpi di manuali tut­ti questi diplomati può utilizzarne soltanto una piccola parte ed è costretto a lasciare gli altri senza impiego. Bisogna dunque rassegnarsi a nutrire i primi e ad avere i secondi come nemi­ci. Dall’alto al basso della piramide sociale, la massa formidabile dei diplomati e dei laureati stringe oggi d’assedio le carriere. Un negozian­te molto difficilmente riesce a trovare un agen­te che lo rappresenti nelle colonie, quando in­vece i più modesti impieghi statali sono ambiti da migliaia di candidati. Nel solo dipartimento della Senna vi sono ventimila istitutori ed isti­tutrici disoccupati che, disprezzando i campi e gli opifici, si rivolgono allo Stato per vivere.
Poiché il numero degli eletti è limitato, quel­lo dei malcontenti è per forza immenso. Questi ultimi son pronti a tutte le rivoluzioni, quali ne siano i capi o gli scopi. Con l’acquisizione di conoscenze inutilizzabili l’uomo si trasfor­ma sempre in un ribelle.
( .. ) Forse potremmo accettare tutti gli inconve­nienti della nostra educazione classica - anche se non producesse che declassati e scontenti - purché l’acquisizione superficiale di tante no­zioni e la ripetizione pedantesca di tanti manua­li servissero almeno ad elevare il livello dell’intelligenza. Ma si tratta davvero di un risultato raggiungibile? Ahimè, no. Il giudizio, l’espe­rienza, l’iniziativa, il carattere sono le condi­zioni di successo nella vita e non si ricevono dai libri. I libri sono dizionari utili da consul­tare, dei quali è però assolutamente superfluo immagazzinare nella mente lunghi frammenti.
Taine ha dimostrato molto bene nel brano che segue come l’istruzione professionale possa sviluppare l’intelligenza in una forma mai rag­giunta dall’istruzione classica:
Le idee si formano soltanto nel loro ambiente na­turale e normale; ciò che le fa germogliare, sono le innumerevoli impressioni sensibili che il giovane ri­ceve ogni giorno nell’opificio, nella miniera, in un tribunale, in uno studio, in un cantiere, in un ospe­dale, di fronte agli utensili, ai materiali, alle diverse tecniche di lavorazione, in presenza dei clienti, degli operai e dell'opera bene o mal riuscita, fonte di gua­dagni o di perdite: ecco le piccole percezioni carat­teristiche degli occhi, dell’orecchio, delle mani e per­fino dell’odorato, che involontariamente raccolte e in­consapevolmente elaborate si organizzano in lui per suggerirgli presto o tardi una combinazione nuova, una semplificazione, un mezzo per fare economia, per perfezionare o inventare. Di tutti questi contatti pre­ziosi, di tutti questi elementi assimilabili e indispen­sabili, il giovane francese è oggi privato proprio du­rante l’età più feconda: per sei o sette anni rimane sequestrato in una scuola, lontano dall’esperienza di­retta o personale che gli avrebbe dato la nozione esat­ta e viva delle cose, degli uomini e dei diversi modi di amministrarli.
... Almeno nove su dieci hanno così perduto tempo e fatica per molti anni della loro vita, e si trattava di anni efficaci, importanti o addirittura decisivi: cal­colate prima di tutto la metà o i due terzi di coloro che si presentano agli esami, cioè i respinti; tra i promossi, i laureati e i diplomati calcolate ancora la metà o i due terzi, voglio dire tutti coloro che si sono abbrutiti. Si chiede loro troppo pretendendo che il tal giorno, su una sedia o davanti a una lavagna, diventino - per due ore e per tutto quanto riguarda un certo gruppo di scienze - diventino, dicevo, veri repertori viventi d’ogni conoscenza umana. Magari riescono a diventar tutto questo, o pressappoco, in un giorno determinato, per due ore, ma un mese do­po non lo sono più; non potrebbero più ripresen­tarsi all’esame; le nozioni troppo numerose e troppo pesanti sfuggono di continuo alla loro mente, né ven­gono sostituite da altre. Il vigore cerebrale si è spezzato; la linfa vitale si è esaurita; quando appare l’uo­mo fatto, si tratta spesso di un uomo finito. E costui, sistemato, sposato, rassegnato a girare in cerchio e sempre nello stesso cerchio, si rinchiude nel suo com­pito limitato; lo adempie correttamente ma non fa nulla di più. Tale è il rendimento medio; e, certo, il risultato non vale la spesa. In Inghilterra, in Ame­rica, o in qualsiasi altro paese dove, come nella Fran­cia prima del 1789, si segue un procedimento inver­so, il rendimento è uguale o superiore.
L’illustre storico mostra poi la differenza tra il nostro sistema e quello degli anglosassoni. Presso questi ultimi l’insegnamento non provie­ne dal libro, ma dalle cose stesse. L’ingegnere, per esempio, si forma in uno stabilimento e mai in una scuola, e ciascuno può arrivare esat­tamente al grado che la sua intelligenza com­porta, operaio o capomastro se è incapace di andare più in là, ingegnere se le sue attitudini lo consentono. Questo procedimento è molto più democratico e utile alla società di quello che fa dipendere tutta la carriera di un indivi­duo da un esame di qualche ora subito tra i diciotto e i vent’anni.
L’allievo, ammesso ancora giovanissimo nell’ospe­dale, nella miniera, nella fabbrica, nell’ufficio dell’ar­chitetto o dell’uomo di legge, compie il suo tirocinio pressappoco come accade da noi al giovane di stu­dio o all’apprendista di bottega. In precedenza, ha potuto seguire qualche corso preparatorio e somma­rio al fine di avere uno schema già pronto per inse­rirvi le osservazioni che farà in seguito. Può sempre disporre di corsi tecnici da seguire durante le ore libere, per coordinare le esperienze via via compiute. Con un simile sistema, la capacità pratica cresce e si sviluppa da sola, fino al grado esatto che le facoltà dell'allievo consentono e nella direzione richiesta dal suo compito futuro e dall’attività particolare cui va a mano a mano adattandosi. In questo modo, in Inghilterra e negli Stati Uniti, il giovane riesce presto a manifestare tutte le sue capacità. A partire dai venticinque anni e anche prima, se la sostanza e le basi non gli mancano, diventa non soltanto un utile esecutore, ma anche un individuo dotato di iniziativa; non soltanto un ingranaggio, ma anche un motore. In Francia, dove ha prevalso il procedimento inverso, che ad ogni generazione si fa più formalistico, il totale delle energie perdute è enorme. .. >>.
Ora io non so come la scuola anglosassone si sia evoluta da allora ma non mi risulta che la nostra abbia smesso di pretendere dagli allievi la mera memorizzazione d’interi manuali. E se in linea di principio avesse ragione il Taine?





[1] Gustave le Bon, Psicologia delle folle, Milano III Ristampa Saggistica TEA 2011, TEA – Tascabili degli Editori Associati S.p.A.

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