Raffronti tra l’istruzione latina e
anglosassone : le conclusioni di Gustave Le Bon
Nuovamente
tratto dal libro intitolato : “ Psicologia delle folle “[1], di Gustave Le
Bon ( cui si è brevemente accennato nel precedente post ), è il presente
stralcio riguardante il raffronto tra l’impostazione scolastica dei Paesi
Latini e quella anglosassone, da cui emerge un quadro che, seppur riguardante
la situazione di un secolo fa ( Il libro in questione è stato pubblicato nel
1895 ), nelle sue linee generali è tutt’altro che superato. Seguiamone dunque i
seguenti stralci :
<< .. Il
primo pericolo di questa educazione - giustamente definita latina - è di
poggiare su un errore psicologico fondamentale: l’idea che la pappagallesca
recitazione dei manuali sviluppi l’intelligenza. Si cerca perciò di imparare il
più possibile e, dalle elementari fino alla laurea e al concorso, il giovane
non fa che ingurgitare il contenuto dei libri, senza mai esercitare il suo
giudizio o la sua iniziativa. L’istruzione, per lui, consiste nel ripetere e
nell’obbedire. « Imparare le lezioni, sapere a memoria una grammatica o un
sommario, ripetere bene, imitare bene, ecco - scriveva un ex-ministro dell’istruzione
pubblica, Jules Simon - una ridicola educazione in cui ogni sforzo è un atto di
fede nell’infallibilità del maestro, ed ha il risultato di sminuirci e renderci
impotenti ».
Se questa
educazione fosse soltanto inutile, potremmo limitarci a compiangere i disgraziati
giovani ai quali, invece di tante cose necessarie, si preferisce insegnare la
genealogia dei figli di Clotario, le lotte tra Neustria ed Austrasia, o le
classificazioni zoologiche; ma questa educazione presenta il pericolo molto
più serio di ispirare a chi l’ha ricevuta un disgusto violento della condizione
in cui è nato, e l’intenso desiderio di uscirne. L’operaio non vuole più restare
operaio, il contadino non vuole più essere contadino, e l’ultimo dei borghesi
ritiene che l’unica carriera possibile per i suoi figli sia quella statale.
Invece di preparare gli uomini per la vita, la scuola li prepara per gli impieghi
pubblici in cui la riuscita non esige nemmeno un barlume di iniziativa. Nei
gradini bassi della scala sociale, essa crea gli eserciti proletari
malcontenti della loro sorte e sempre pronti alla rivolta; in quelli alti una
borghesia frivola, al tempo stesso scettica e credulona, impregnata di
fiducia superstiziosa nello Stato provvidenziale - che tuttavia critica senza
posa - sempre pronta a scaricare sul governo la colpa dei propri errori, incapace
di intraprendere qualunque cosa senza l’intervento dell’autorità.
Lo Stato che
fabbrica a colpi di manuali tutti questi diplomati può utilizzarne soltanto
una piccola parte ed è costretto a lasciare gli altri senza impiego. Bisogna
dunque rassegnarsi a nutrire i primi e ad avere i secondi come nemici.
Dall’alto al basso della piramide sociale, la massa formidabile dei diplomati e
dei laureati stringe oggi d’assedio le carriere. Un negoziante molto
difficilmente riesce a trovare un agente che lo rappresenti nelle colonie,
quando invece i più modesti impieghi statali sono ambiti da migliaia di
candidati. Nel solo dipartimento della Senna vi sono ventimila istitutori ed
istitutrici disoccupati che, disprezzando i campi e gli opifici, si rivolgono
allo Stato per vivere.
Poiché il
numero degli eletti è limitato, quello dei malcontenti è per forza immenso.
Questi ultimi son pronti a tutte le rivoluzioni, quali ne siano i capi o gli
scopi. Con l’acquisizione di conoscenze inutilizzabili l’uomo si trasforma
sempre in un ribelle.
( .. ) Forse
potremmo accettare tutti gli inconvenienti della nostra educazione classica -
anche se non producesse che declassati e scontenti - purché l’acquisizione
superficiale di tante nozioni e la ripetizione pedantesca di tanti manuali
servissero almeno ad elevare il livello dell’intelligenza. Ma si tratta davvero
di un risultato raggiungibile? Ahimè, no. Il giudizio, l’esperienza,
l’iniziativa, il carattere sono le condizioni di successo nella vita e non si
ricevono dai libri. I libri sono dizionari utili da consultare, dei quali è
però assolutamente superfluo immagazzinare nella mente lunghi frammenti.
Taine ha
dimostrato molto bene nel brano che segue come l’istruzione professionale possa
sviluppare l’intelligenza in una forma mai raggiunta dall’istruzione classica:
Le idee si
formano soltanto nel loro ambiente naturale e normale; ciò che le fa
germogliare, sono le innumerevoli impressioni sensibili che il giovane riceve
ogni giorno nell’opificio, nella miniera, in un tribunale, in uno studio, in un
cantiere, in un ospedale, di fronte agli utensili, ai materiali, alle diverse
tecniche di lavorazione, in presenza dei clienti, degli operai e dell'opera
bene o mal riuscita, fonte di guadagni o di perdite: ecco le piccole
percezioni caratteristiche degli occhi, dell’orecchio, delle mani e perfino
dell’odorato, che involontariamente raccolte e inconsapevolmente elaborate si
organizzano in lui per suggerirgli presto o tardi una combinazione nuova, una
semplificazione, un mezzo per fare economia, per perfezionare o inventare. Di
tutti questi contatti preziosi, di tutti questi elementi assimilabili e
indispensabili, il giovane francese è oggi privato proprio durante l’età più
feconda: per sei o sette anni rimane sequestrato in una scuola, lontano
dall’esperienza diretta o personale che gli avrebbe dato la nozione esatta e
viva delle cose, degli uomini e dei diversi modi di amministrarli.
... Almeno
nove su dieci hanno così perduto tempo e fatica per molti anni della loro vita,
e si trattava di anni efficaci, importanti o addirittura decisivi: calcolate
prima di tutto la metà o i due terzi di coloro che si presentano agli esami,
cioè i respinti; tra i promossi, i laureati e i diplomati calcolate ancora la
metà o i due terzi, voglio dire tutti coloro che si sono abbrutiti. Si chiede
loro troppo pretendendo che il tal giorno, su una sedia o davanti a una
lavagna, diventino - per due ore e per tutto quanto riguarda un certo gruppo di
scienze - diventino, dicevo, veri repertori viventi d’ogni conoscenza umana.
Magari riescono a diventar tutto questo, o pressappoco, in un giorno
determinato, per due ore, ma un mese dopo non lo sono più; non potrebbero più
ripresentarsi all’esame; le nozioni troppo numerose e troppo pesanti sfuggono
di continuo alla loro mente, né vengono sostituite da altre. Il vigore
cerebrale si è spezzato; la linfa vitale si è esaurita; quando appare l’uomo
fatto, si tratta spesso di un uomo finito. E costui, sistemato, sposato,
rassegnato a girare in cerchio e sempre nello stesso cerchio, si rinchiude nel
suo compito limitato; lo adempie correttamente ma non fa nulla di più. Tale è
il rendimento medio; e, certo, il risultato non vale la spesa. In Inghilterra,
in America, o in qualsiasi altro paese dove, come nella Francia prima del
1789, si segue un procedimento inverso, il rendimento è uguale o superiore.
L’illustre
storico mostra poi la differenza tra il nostro sistema e quello degli
anglosassoni. Presso questi ultimi l’insegnamento non proviene dal libro, ma
dalle cose stesse. L’ingegnere, per esempio, si forma in uno stabilimento e mai
in una scuola, e ciascuno può arrivare esattamente al grado che la sua
intelligenza comporta, operaio o capomastro se è incapace di andare più in là,
ingegnere se le sue attitudini lo consentono. Questo procedimento è molto più
democratico e utile alla società di quello che fa dipendere tutta la carriera
di un individuo da un esame di qualche ora subito tra i diciotto e i
vent’anni.
L’allievo,
ammesso ancora giovanissimo nell’ospedale, nella miniera, nella fabbrica,
nell’ufficio dell’architetto o dell’uomo di legge, compie il suo tirocinio
pressappoco come accade da noi al giovane di studio o all’apprendista di
bottega. In precedenza, ha potuto seguire qualche corso preparatorio e sommario
al fine di avere uno schema già pronto per inserirvi le osservazioni che farà
in seguito. Può sempre disporre di corsi tecnici da seguire durante le ore
libere, per coordinare le esperienze via via compiute. Con un simile sistema,
la capacità pratica cresce e si sviluppa da sola, fino al grado esatto che le
facoltà dell'allievo consentono e nella direzione richiesta dal suo compito
futuro e dall’attività particolare cui va a mano a mano adattandosi. In questo
modo, in Inghilterra e negli Stati Uniti, il giovane riesce presto a
manifestare tutte le sue capacità. A partire dai venticinque anni e anche
prima, se la sostanza e le basi non gli mancano, diventa non soltanto un utile
esecutore, ma anche un individuo dotato di iniziativa; non soltanto un
ingranaggio, ma anche un motore. In Francia, dove ha prevalso il procedimento
inverso, che ad ogni generazione si fa più formalistico, il totale delle
energie perdute è enorme. .. >>.
Ora io non so
come la scuola anglosassone si sia evoluta da allora ma non mi risulta che la
nostra abbia smesso di pretendere dagli allievi la mera memorizzazione d’interi
manuali. E se in linea di principio avesse ragione il Taine?
Gustave le Bon, Psicologia delle folle, Milano III
Ristampa Saggistica TEA 2011, TEA – Tascabili degli Editori Associati S.p.A.
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