Perché l'uso del concetto di Paideia e di Cultura a 360°

Perché l'uso del concetto di Paideia e di cultura a 360°

Dall'iniziale esaltazione dell'aretè, ovvero il culto del coraggio, della valenza fisica e dell'astuzia, gli uomini di cultura e i politici greci vennero man mano delineando una più complessa idea di uomo valente. Costui infatti, accanto al coltivare l'àristoi, ossia l'essere prode, doveva curare : << .. Il padroneggiamento della parola ( .. ) qual segno della sovranità della mente .. >>, ( Werner Jaeger, Paideia, Milano II Edizione Bompiani Pensiero Occidentale 2011, RCS Libri S. p. A. ). E' così che il concetto greco di Paideia prese la sua forma definitiva.

Da allora sono passati più di 2000 anni ma la bellezza e il fascino della visione di come quei " grandi " ritenevano dovesse essere l'uomo ideale non solo non è sorpassata ma, stante la decadenza della nostra Società, è quanto mai attuale.

Ed egualmente fondamentale, oggi come allora è la determinazione delle qualità, virtù ed abilità che il soggetto d'elite debba aver maturato. Doti e nozioni che a mio parere possono rilevarsi soltanto cominciando a pubblicizzare e studiare quanto di meglio i ricercatori scientifici e i nostri " geni " abbiano scoperto nei loro studi attorno all'uomo e alla società.

.. Quanto al resto .. E' solo ciccia! ..

domenica 19 maggio 2019

Il decadentismo politico europeo


a ) L’uomo ha bisogno di credere a  valori forti per dare il meglio

Nonostante che per decenni la Cina abbia professato l’ateismo di stato pare che la Bibbia stia per diventare il best seller dei giovani cinesi. Sembrerebbe quindi che le nuove leve, disilluse dall’esperienza del comunismo reale siano alla ricerca di una visione dell’uomo e del mondo che sia in grado di avvincerli e dedicarvisi con passione.
E’ normale che una nazione sia unita dalla lingua, dalla legge e dal governo ma se oltre a ciò la popolazione condivide valori morali elevati e grandi intenti  allora opererà con una determinazione decuplicata rispetto a quella che anima i popoli meno motivati. Era questo il segreto che conquistava i romani quando i primi cristiani affrontavano con stoicismo la morte ed è con la stessa foga che gl’islamici radicalizzati sacrificano la propria vita per l’Islam.
E’ un peccato che gli europei e gl’Italiani in particolare non siano pervasi da altro credo che non sia quello utilitaristico.
Del resto fu proprio il non credere ad alcun valore che rese noi italiani così poco coesi da divenire facili marionette in mano alle nazioni  pur meno civili che ci conquistarono. Né meno umiliante è il ricordarci di essere giunti  a un punto tale di decadimento che sembrava del tutto normale affermare senza remore : << .. Franza o Spagna, purché se magna .. >>.
L’Italia del resto ha avuto due momenti storici di vera grandezza: uno con l’impero romano, l’altro con l’Umanesimo e il Rinascimento ma essendo stati intervallati da tanti secoli di vita di uomini e governi deboli, gretti e profittatori non è certo possibile affermare che si possegga un DNA geniale. Crederlo, come pare venga affermato nel libro di Vittorio Sgarbi e Giulio Tremonti intitolato Rinascimento, prima edizione a Milano nel 2017 dalla  Baldini & Castoldi s.r.l., pare una boutade. Certo non li si può certo rimproverare se a loro avviso queste fantastiche memorie dovrebbero indurci a operare conseguentemente ma il dubbio è che si tratti di un mero tratto illusorio.
A mio avviso dunque e a differenza dei due autori sopra citati, il Rinascimento sa­rebbe solo stato : << .. Una primavera precoce quasi subito ricancellata dalla neve ..  >>, (Nietzsche, Umano troppo umano,).

b ) Con il benessere l’uomo scambia la precarietà dell’esistenza con il diritto a essere  

In verità il destino dell’uomo non è particolarmente felice. Nei tempi antichi questi era falciato da malattie, carestie, assalti di animali selvaggi e tribù nemiche, nonché da avversità di ogni tipo. Sopravvivere sino al giorno dopo era un miracolo e propiziarsi gli dei non era che darsi la speranza che la fortuna durasse pure il giorno successivo.
Se fossimo all’indomani della fine della seconda guerra mondiale credo che non faticherei a trovare persone d’accordo con me. 45 milioni di morti, trilioni di danni materiali, milioni di persone rese invalide, altrettante affette da stress post traumatico, orfani e via dicendo ne sarebbero la testimonianza evidente.
Non è un caso che la generazione italiana del secondo dopoguerra risultasse fatalista, diffidente, ossequiosa alla gerarchia ma anche “ dura “, “ ostinata “. La sua fortuna fu conoscere l’inizio di una crescita economica tumultuosa che prese il nome di miracolo economico ed è un peccato che le leve seguenti, che godettero appieno il relativo benessere, non riconobbero la grandezza della loro modestia e finissero ben presto per collidere con i genitori. A quei figli infatti, più istruiti e benestanti, risultava ostica la frugalità, la meticolosità ossessiva che animava  la cura delle poche carabattole familiari. Non dovendo trascinarsi dietro le ferite e/o i terribili ricordi legati all’esperienza del conflitto mondiale erano solo desiderosi di cogliere le prospettive insite nella nuova realtà e non avevano assolutamente voglia di rinchiudersi nel grigiore della vita dei genitori.
Ma è nel ’68 che si opera la grande cesura generazionale. Favoriti da un mirabolante periodo di reviviscenza politica i giovani, più ottimisti e sicuri di sé ingrossano le fila dei partiti o comunque dell’opinione pubblica favorevole a politiche riformiste, all’allargamento dei diritti civili, al pacifismo, all’affermazione della giustizia, alla difesa dell’ambiente, alle rivendicazioni salariali. Del resto si stava vivendo il sogno, seppur tra alti e bassi, del periodo di crescita economica più lungo che vi sia mai stato ed è logico che il fenomeno alimenti l’illusione della potenza umana. Le meravigliose scoperte scientifiche dell’ultimo cinquantennio del resto, che hanno dato luogo a innovazioni tecnologiche di enorme valore non hanno fatto che cementare quella sicumera.
Le generazioni ancora successive hanno poi addirittura goduto di una maggiore benevolenza da parte dei genitori nonché di una sempre più pressante presentazione ideale della realtà. Ciò, sia grazie ai media che pubblicizzano in maniera più appetibile luoghi, situazioni e persone. Sia per mezzo dei grandi uomini di cultura che pontificano sulle misure di civiltà da prendere, sia mediante internet e i social che sventolano davanti ai nostri occhi una dimensione diversa, dove si viene facilmente indotti a pensare che l’uomo sia il perno del mondo.
Peccato che questa non sia la verità. Per quanto le aspettative della gente, ovvero l’estensione dei diritti e dei benefici al resto del mondo siano nobili, non bisogna dimenticare che la nostra attuale predominanza non è altro che un “ incidente di percorso “, perché la norma è che si costituisca un fatto accidentale interno al moto di quell’unico protagonista mondiale che viene chiamato impropriamente Universo.
Continuiamo infatti a morire per malattia o per mano dei nemici. Le carestie e le calamità naturali sono sempre dietro l’angolo e non è detto che si riesca a superare il prossimo disastro o conflitto che sia. Nulla può non indurci a pensare che possa capitarci come ai dinosauri e che, come nel loro caso, magari fra milioni di anni i turisti di chissà quale mondo vadano nei loro musei a vedere le nostre povere ossa e i manufatti ritrovati.

c ) La decadenza dell’Occidente   

In un simile contesto parrebbe fuori luogo illudersi di essere altro che grani di sabbia sparsi sulla terra, eppure così non è. Ci si reputa così potenti da ritenere che siano le nostre attività egoistiche a creare pericolosi squilibri sulla superficie terrestre dimenticando che l’esistenza di dodici miliardi di persone alla mera ricerca del cibo quotidiano comportano un naturale impoverimento del terreno e incrementano a dismisura il rischio di conflitti.
La differenza fra i due punti di vista può non sembrare marcata ma è comunque netta : il primo è quello di chi considera l’uomo il reggitore del destino terrestre grazie alla propria intelligenza e attività. Cosa che per altro fa si che chi ne sia convinto sia pure certo della propria personale superiorità nei confronti della società.
L’altro è un punto di vista più fatalistico dove il nostro voler fare ed essere non è visto come valevole più di tanto. Quale dei due è più aderente alla realtà? Non è facile rispondere alla domanda se non facendo una premessa : in una società benestante com’è ancora l’attuale le modalità operative individuali che vanno per la maggiore sono l’acquisizione di oggetti superflui e/o sempre maggiori comodità, cosa che per altro è rispondente al nostro sistema produttivo che continuando a proporre prodotti con maggiori potenzialità spera di allontanare la temuta crisi di sovrapproduzione.
Ma siamo propri sicuri  che continuando così non andremo comunque a sbattere la faccia contro l’esasperazione della concorrenza internazionale e quindi l’esplosione di nuove guerre regionali? Saremo in grado di affrontarle? Sara facile adattarsi alla situazione per individui abituati alle soluzioni più facili e comode, ad armadi pieni di capi all’ultima moda, che spendono centinaia di euro dal barbiere, dal tatuatore, dall’estetista, dal chirurgo estetico?. Potremo fare a meno dei preziosi smartphone, delle 3 o 4 TV che si ha a casa, della lavasciuga, della lavapiatti? E le ferie e i riposi a fine settimana?  Riusciremo a trovare appoggi adeguati in un contesto dove ai legami di sangue non si sta dando nessuna importanza, dove non esiste più vera amicizia, ovvero quella che è per sempre e ti spinge ad aiutare in tutti i modi possibili l’amico? Reggeremo lo stress e la paura vera che è ben altra cosa da quella indotta dai videogame o dai film dell’orrore?  Saremo capaci di lavorare intensamente senza riposo e così via?
Studi medici, tanto per fare un paio di esempi eclatanti, hanno accertato che i nostri giovani hanno mediamente meno forza nelle braccia rispetto ai coetanei delle generazioni precedenti ( segno che hanno meno bisogno di adoperarle per ottenere quanto serve ). D’altro canto esponenti di spicco dell’esercito britannico lamentavano tempo addietro di non trovare abbastanza candidati per rimpinguare i ranghi dei reggimenti di Sua Maestà. I giovani che si presentano a quanto pare sono obesi e troppo agiati per sopportare i sacrifici e i pericoli abituali che la vita del soldato comporta.
Siamo insomma una generazione perfettamente in regola per usufruire della vita agiata che è possibile condurre in una società avanzata, ovvero in un contesto civile, che prevede l’integrazione del diverso quale potenziale nuovo cliente.
Ci manca tuttavia la forza, la chiarezza d’idee e la determinazione dei nostri padri che, sebbene bistrattati e criticati, bene o male hanno posto le fondamenta del benessere di cui godiamo. Sapremo difenderlo?


giovedì 9 maggio 2019

Forze d'intervento rapido



Ragioni d’economia all’interno di un netto peggioramento del quadro geopolitico costringono le grandi potenze occidentali e il “ Pentagono “ a rendere più incisivo un eventuale intervento militare.
Mi rifaccio qui a quanto affermato in un Libro di Carlo Jean e Giulio Tremonti intitolato Guerre stellari edito a Milano nel 2000 dalle Edizioni Franco Angeli. Vero è che il quadro presentato nel testo è vecchiotto e che quindi sicuramente saranno state adottate nuove e diverse tattiche ma è altrettanto certo che la linea di base dovrebbe ancora valere.
Punto di forza dell’esercito USA infatti è tuttora la supremazia nelle : << .. Tecnologie d’informazioni e dell'integrazione sistemica .. >>, collegate a : << .. Sistemi d'arma di grande gittata e precisione .. >>, fatto che rende possibile affondi “ chirurgici “ agli obiettivi militari e industriali del nemico diminuendo l’impiego massiccio di uomini e mezzi che conquistino le regioni ostili. Utilizzo che per altro necessita del relativo trasporto in zona operativa con dispendio di tempo, navi e aerei nonché con il pericolo che gli stessi vengano intercettati e colpiti, oppure attirino su di sé l’astio delle popolazioni locali.
Gli USA e questo per lo meno sino al mandato presidenziale di Trump, in caso di conflitto avrebbero cercato, in primis, di coinvolgere i governi europei trasformando così la NATO in una specie di alleanza militare a valenza globale nonché di legittimare il proprio intervento militare : << .. Senza espliciti mandati del Consiglio di Sicurezza dell'Onu. Quest'ultimo, quindi, vedrebbe ridimensionato il pro­prio ruolo di tutore dell'ordine e della pace internazionale, che d'altronde è sempre stato più teorico che reale .. >>.
Da un punto di vista più strettamente operativo la capillare rete informativa e integrata, oltre a consentire di colpire obiettivi strategici senza bisogno di costosissime campagne militari terrestri, permetterebbe pure l’impiego di gruppi di forze speciali più piccole che penetrino in profondità nel territorio nemico e utilizzino una grande potenza di fuoco. Il concentrarsi quasi esclusivamente a colpire i centri nevralgici del nemico poi, ridurrebbe pure i danni “ collaterali “, inflitti al territorio e alla popolazione avversaria.
L’obiettivo del “ Pentagono “ dunque, quale che sia la tattica adottata, volge a risolvere rapida­mente un conflitto : << .. Regionale maggiore .. >>, contrattaccando con la potenza necessaria ad annientare il nemico. Ciò ovviamente non può escludere la riconquista di territori perduti per mezzo di operazioni : << .. Aero-terrestri di ampie di­mensioni, con elevati costi, perdite e tempi di esecuzione .. >>, ma la potenza e la precisione delle armi a lunga gittata USA può consentire ottimi risultati con una diminuzione degli effettivi dell’esercito a 500.000 uomini dal milione e mezzo che erano a fine ‘900.
L’obiettivo agognato dallo Stato Maggiore americano è lo spostamento di questa forza d’intervento rapida in pochi giorni in qualsiasi parte del mondo per mezzo di : << .. Aerotrasporti strategici .. >>.
L’attacco delle forze USA poi sarebbe preceduto dalla distruzione e dalla paralisi dei sistemi di comando e controllo del nemico anche per mezzo d’intrusione informatica ( strategia ormai pienamente maturata  negli ultimi conflitti che hanno visto gli americani protagonisti ).
All’epoca della stampa del libro sopra citato, da cui traggo queste informazioni, si stava valutando la possibilità d’integrare la paralisi elettronica delle comunicazioni nemiche con bombardamenti effettuati dalla cosiddetta  : << .. Artiglieria globale .. >>. Non so se a tutt’oggi si sia realizzato il progetto descritto ma mi pare interessante riportarlo. Questa artiglieria sarebbe : << .. Schierata nel territorio degli Stati Uniti ( 6 super-cannoni sulla costa del Pacifico e 6 su quella dell'Atlan­tico). .. >>, e : << .. Capace di colpire in 30-40 minuti qualsiasi punto del globo, con proiettili da 1000 libbre dotati di sub-munizioni intelligenti auto-guidate, cioè capaci di ricercare e colpire autonomamente gli obiettivi per i quali tali sub-munizioni sono state programmate. Tali proiettili verrebbero spa­rati da ciascun cannone con una celerità di 2-6 colpi l’ora. Nel comples­so, l'artiglieria strategica globale avrebbe la capacità di lanciare ogni gior­no 480 tonnellate di munizioni letali e non letali (effetti suono, luce o im­pulso elettromagnetico) per colpire le infrastrutture e le sedi di governo e amministrative, oltre che le forze d'invasione.
Il grande vantaggio dei cannoni rispetto ai missili balistici, che potreb­bero tecnicamente raggiungere risultati analoghi, è il loro costo ridotto: 1.000 dollari per libbra, contro gli almeno 10.000 dollari dei missili. Un altro vantaggio dei «supercannoni», del tipo di quello «Babilonia» proget­tato per Saddam Hussein dal famoso tecnico canadese Gerard Bull, consi­sterebbe nella possibilità di azioni di fuoco prolungate e di riprogramma­zione rapida degli obiettivi da colpire.
Altri obiettivi dei primi attacchi sarebbero i posti comando, i centri logi­stici, i siti delle armi di distruzione di massa e le concentrazione di mezzi corazzati. I cannoni «globali» sarebbero lanciatori elettromagnetici o ad idrogeno gassoso, e avrebbero la capacità di sparare proiettili con velocità iniziali di 9 km al secondo (rispetto agli 0,8-1,5 km al secondo delle attuali artiglierie pesanti, a propulsione chimica tradizionale).
L'artiglieria globale verrebbe integrata da laser a raggj X attivati con piccole esplosioni nucleari sotterranee negli Stati Uniti e riflessi da una se­rie di specchi spaziali sul teatro d'intervento. Anche tali laser saranno ca­paci di distruggere obiettivi puntuali, «duri» e mobili come i carri armati, in qualsiasi parte del globo. .. >>.
.. E il bello è che tutto ciò non può più venir bollato come fantascienza e in quanto tale relegato nel subconscio quale  ordito fantastico .. Si tratta piuttosto di progetti realizzabili e in una certa qual misura già attuati se non addirittura sospesi perché obsoleti .. E se a noi appaiono fuori dall’ordinario è  perché si è dei piccoli provinciali .. Saperlo però può aiutarci a capire come vanno le cose fuori dal nostro “ giardino “ e renderci più consapevoli ..


venerdì 3 maggio 2019

I pugni



a ) Il pugno chiuso quale scarico di tensione

Quando un comportamento altrui ci fa arrabbiare ma si cerca di far finta di niente e quindi di non darlo a vedere, la reazione aggressiva cui tenderemmo viene trasformata in un atto funzionale, quale a esempio intensificare il lavoro che si sta facendo o stringere la penna con forza mostrando così di voler scrivere. In questo modo l’energia in sovrappiù indotta dalla tensione viene scaricata e in una maniera che nasconda il proprio stato d’animo.
Chiudere il pugno con forza, gesto che pone in rilievo i tendini e le vene e che in realtà è un comportamento adatto a uno scontro fisico poiché in questo modo e in mancanza di altre armi è possibile colpire l’altro in maniera più violenta che non con le mani aperte, è uno di questi atti di scarico della tensione che ha il vantaggio di essere poco visibile dall’interlocutore e spesso non chiaramente decifrabile. Le braccia infatti possono essere tenute basse e quindi i pugni rimanere lontani dalla visuale della persona invisa oppure nascoste sotto il tavolo o tenute a livello dei fianchi.
Un chiaro indizio di quanto in questo caso si sia arrabbiati è dato dalla forza con cui serriamo il pugno. Tanto essa è maggiore infatti, tanto maggiore è la rabbia che si cerca di contenere.
Può capitare che la persona che serra i pugni sia da sola, fatto indicante che stia rivivendo una frustrazione che gli ha causato molta rabbia.

b ) Il pugno chiuso quale minaccioso  

Agitare il pugno davanti all’interlocutore è un gesto aggressivo a vuoto volto a manifestare l’intenzione di colpirlo e la determinazione nonché la violenza con cui lo si vorrebbe fare è direttamente proporzionale all’ira provata. E’ comune vederlo, a esempio, come gesto provocatorio che spesso porta allo scatenarsi di risse fra gruppi avversi oppure  durante manifestazioni di piazza, anche se il fenomeno in questo caso perde il suo aspetto più violento ed è ridotto a semplici scatti avanti e indietro del braccio che di solito accompagnano la ripetizione di slogan.
Sia che l’atto preluda a uno scontro fisico, sia che tratti solo di una minaccia, il suo significato è comunque inequivocabile.

Poggiare i pugni chiusi sui fianchi oppure uno sul fianco e l’altro su un qualche sostegno, fosse lo stipite di una porta, un davanzale, eccetera, viene considerato un atteggiamento sicuramente più minaccioso che non quello di portare le mani sui fianchi, che comunque già implica, se si è alzati, la volontà di ostacolare col proprio corpo, esteso al massimo in larghezza grazie alle braccia triangolanti con il corpo, l’avanzamento dell’altro.
Visto dunque che i  pugni chiusi accentuano la determinazione e l’aggressività del soggetto che compie questo gesto, è da fare molta attenzione a un interlocutore  che prenda una simile postura.

Battere duramente e più volte il pugno sul palmo dell’altra mano la lo scopo d’intimorire l’altro facendogli intendere che si ha una mezza intenzione di picchiarlo. Secondo Desmond Morris però  ( “ I gesti nel mondo “,  Milano 1995, Arnoldo Mondadori Editore S.p.A ), il gesto mimerebbe unicamente  il coito in quanto il battere il pugno rappresenterebbe le spinte del pene. Chi fa così dunque intenderebbe vantarsi della propria vigoria sessuale oppure indicare quella di un qualche suo conoscente ma, sebbene sostenga che questo atto sia comune in Italia oltre che in Francia, Spagna e America del Sud, da noi non l’ho mai visto farlo con quell’intento. Può darsi che si tratti di un gesto caduto in disuso.

Il torcere coi pugni un invisibile panno bagnato sostituisce  il voler torcere il collo all’interlocutore. Sebbene chi lo fa soventemente è arrabbiato e quindi non è da prendere alla leggera, in molti casi si  tratta di un atto scherzoso.

In Siria si usa lanciare i pugni stretti, insieme con i pol­lici puntati in fuori, lontano dal corpo. Il gesto imita simbolicamente il passare una corda sul collo dell’offensore e poi stringergliela addosso. Anche in questo caso l’interlocutore farebbe bene a stare in campana quando nota che l’altro fa una cosa del genere.

Può capitare di vedere qualcuno che avvolge il pugno chiuso nell’altra mano. Questo avviluppamento lascia pensare che la persona cerchi in una qualche maniera di celare la tensione ma quanto più il gesto è fatto con forza, ossia il pugno è stretto e preme nel palmo dell’altro arto, tanto più la persona in questione si sente offesa oppure intende motivarsi o concentrarsi su un qualcosa che reputa difficile ( come nel caso di certi discorsi pubblici ). Vero è  che lo sforzo fatto per rendere meno chiaro la propria ansia, ossia il nascondere il pugno con l’altra mano, indica che il soggetto cerca di controllare il vero stato d’animo e non vuole scontrarsi fisicamente con l’altro ma è altrettanto certo che si disponga a un serrato scambio o scontro verbale.

Pare che in Colombia il pugno stretto venga tenuto leggermen­te di lato ovvero al livello della spalla e quindi mosso da una parte all'altra più volte. Sull’intenzione non si può equivocare : è sempre minacciosa e, in sovrappiù, il porlo lateralmente rispetto al corpo rende il gesto ben visibile all’interlocutore che in questo modo non potrà equivocare la volontà dell’altro. Senza contare poi che così facendo si dà l’impressione di essere più grossi e quindi ancor più impressionanti.

Il fatto che il pugno alzato sia divenuto il saluto  dei simpatizzanti e dei militanti comunisti è legato appunto al senso di appartenere a un gruppo fortemente motivato ad abbattere con tutti i mezzi a disposizione l’establishment. Non è un caso quindi che l’abbiano adottato quale simbolo di fraternità.

c ) Il pugno chiuso quale gesto di vittoria

Lanciare in aria il pugno stretto con il braccio teso, oppure lanciarlo per poi dare colpi all’aria in avanti e indietro accompagnando l’atto  con un balzo in aria e il viso gioioso, indica la propria contentezza per la vittoria riportata in una  competizione, sia che si tratti di sé, sia che si tratti dei propri beniamini. Sebbene in questo caso non venga rivolto minacciosamente a un avversario, si tratta comunque di un gesto “ sanguigno “, ovvero scatenato da forti sentimenti che in questo caso non sono di avversione ma di gioia per una gradita affermazione.
Desmond Morris ( “ I gesti nel mondo “,  Milano 1995, Arnoldo Mondadori Editore S.p.A ), spiega : << .. Esso deriva dal primitivo colpo a braccia levate che è co­mune a tutta l'umanità. Il significato simbolico del gesto è: “ La mia forza ha sopraffatto il mio nemico “ .. >>

d ) Il pugno chiuso tenuto da un conferenziere  

Quando un oratore arrabbiato prende a pugni l'aria con il pugno stretto spesso enfatizza la propria determinazione a perseguire la propria idea o avversari irriducibili. In fondo è come se tirasse simbolicamente un colpo a qualche immaginario oppositore.
L’effetto di un gesto del genere è così noto che il gesto viene adottato da predicatori molto più moderati e questo per cercare di dare l’impressione di essere più forti di quanto non sono.
C’è poi una posizione intermedia , ovvero quella del pugno semichiuso, senza ripiegamento del pollice intorno alle nocche. Chi l’adotta vuol apparire forte ma non minaccioso, cosa che è data appunto dalla mancanza di pressione nel  pugno. Si tratta di parlatori che “ sentono “ ciò che dicono  e sono così sicuri di quanto affermano che sottolineano quanto sostengono col movimento del pugno non stretto, cadenzando quasi il ritmo del discorso, quasi volessero aiutarsi a inculcare agli altri quanto gli preme pure con le mani.

e ) Altre occasioni in cui è usato il pugno chiuso

Pare che in Giappone per indicare un tizio avaro si tenga il pugno stretto davanti al corpo. Mostrarlo invece al compagno è considerato osceno in molti posti. in Pakistan è addirittura visto come insulto sessuale.

Pare che, spesso, nelle partite di football inglese i tifosi, quando i giocatori della squadra avversaria compiono un qualche errore madornale, muovano rapidamente in su e giù il pugno, che rimane  un poco aperto. Il gesto, che altro non è che l’atto di mimare la masturbazione maschile, è chiaramente un insulto rivolto allo sfortunato competitore. E’ infatti come se gli dicessero che la sua prestanza fisica e la lucidità mentale sono ottenebrati dalla sua troppo intensa attività autoerotica o che comunque è buono solo a fare quello.

In Sudamerica sembra che il pugno stretto venga agitato più volte avanti e indietro ( non in alto e basso ), per rispondere di no in modo insultante a una domanda che infastidisce. E’ probabile che anche in questo caso si tratti di un gesto rifacentesi in qualche modo alla masturbazione maschile, ovvero l’equivalente gestuale dell’asserzione : << .. Fottiti! .. >>.


f ) Riferimenti bibliografici

Anna Guglielmi, Il linguaggio segreto del corpo, Casale Monferrato, II Edizione 2000, Edizioni Piemme S.p.A.
Giuseppe Maffeis, Guida pratica – Il linguaggio del corpo, Milano 2011, Edizioni Riza S. p. A.
Desmond Morris, I gesti nel mondo,  Milano 1995, Arnoldo Mondadori Editore S.p.A
Desmond Morris, L'animale uomo,  Milano 1994, Arnoldo Mondadori Editore S.p.A
Desmond Morris, L’uomo e i suoi gesti, Milano, V edizione 1987, Arnoldo Mondadori Editore S.p.A.
Marco Pacori, I messaggi segreti del corpo, Milano 2012, Giunti Editore S.p.A.
Marco Pacori, Come interpretare i messaggi del corpo, Milano 2002, DVE ITALIA S.p.A