Perché l'uso del concetto di Paideia e di Cultura a 360°

Perché l'uso del concetto di Paideia e di cultura a 360°

Dall'iniziale esaltazione dell'aretè, ovvero il culto del coraggio, della valenza fisica e dell'astuzia, gli uomini di cultura e i politici greci vennero man mano delineando una più complessa idea di uomo valente. Costui infatti, accanto al coltivare l'àristoi, ossia l'essere prode, doveva curare : << .. Il padroneggiamento della parola ( .. ) qual segno della sovranità della mente .. >>, ( Werner Jaeger, Paideia, Milano II Edizione Bompiani Pensiero Occidentale 2011, RCS Libri S. p. A. ). E' così che il concetto greco di Paideia prese la sua forma definitiva.

Da allora sono passati più di 2000 anni ma la bellezza e il fascino della visione di come quei " grandi " ritenevano dovesse essere l'uomo ideale non solo non è sorpassata ma, stante la decadenza della nostra Società, è quanto mai attuale.

Ed egualmente fondamentale, oggi come allora è la determinazione delle qualità, virtù ed abilità che il soggetto d'elite debba aver maturato. Doti e nozioni che a mio parere possono rilevarsi soltanto cominciando a pubblicizzare e studiare quanto di meglio i ricercatori scientifici e i nostri " geni " abbiano scoperto nei loro studi attorno all'uomo e alla società.

.. Quanto al resto .. E' solo ciccia! ..

domenica 19 maggio 2019

Il decadentismo politico europeo


a ) L’uomo ha bisogno di credere a  valori forti per dare il meglio

Nonostante che per decenni la Cina abbia professato l’ateismo di stato pare che la Bibbia stia per diventare il best seller dei giovani cinesi. Sembrerebbe quindi che le nuove leve, disilluse dall’esperienza del comunismo reale siano alla ricerca di una visione dell’uomo e del mondo che sia in grado di avvincerli e dedicarvisi con passione.
E’ normale che una nazione sia unita dalla lingua, dalla legge e dal governo ma se oltre a ciò la popolazione condivide valori morali elevati e grandi intenti  allora opererà con una determinazione decuplicata rispetto a quella che anima i popoli meno motivati. Era questo il segreto che conquistava i romani quando i primi cristiani affrontavano con stoicismo la morte ed è con la stessa foga che gl’islamici radicalizzati sacrificano la propria vita per l’Islam.
E’ un peccato che gli europei e gl’Italiani in particolare non siano pervasi da altro credo che non sia quello utilitaristico.
Del resto fu proprio il non credere ad alcun valore che rese noi italiani così poco coesi da divenire facili marionette in mano alle nazioni  pur meno civili che ci conquistarono. Né meno umiliante è il ricordarci di essere giunti  a un punto tale di decadimento che sembrava del tutto normale affermare senza remore : << .. Franza o Spagna, purché se magna .. >>.
L’Italia del resto ha avuto due momenti storici di vera grandezza: uno con l’impero romano, l’altro con l’Umanesimo e il Rinascimento ma essendo stati intervallati da tanti secoli di vita di uomini e governi deboli, gretti e profittatori non è certo possibile affermare che si possegga un DNA geniale. Crederlo, come pare venga affermato nel libro di Vittorio Sgarbi e Giulio Tremonti intitolato Rinascimento, prima edizione a Milano nel 2017 dalla  Baldini & Castoldi s.r.l., pare una boutade. Certo non li si può certo rimproverare se a loro avviso queste fantastiche memorie dovrebbero indurci a operare conseguentemente ma il dubbio è che si tratti di un mero tratto illusorio.
A mio avviso dunque e a differenza dei due autori sopra citati, il Rinascimento sa­rebbe solo stato : << .. Una primavera precoce quasi subito ricancellata dalla neve ..  >>, (Nietzsche, Umano troppo umano,).

b ) Con il benessere l’uomo scambia la precarietà dell’esistenza con il diritto a essere  

In verità il destino dell’uomo non è particolarmente felice. Nei tempi antichi questi era falciato da malattie, carestie, assalti di animali selvaggi e tribù nemiche, nonché da avversità di ogni tipo. Sopravvivere sino al giorno dopo era un miracolo e propiziarsi gli dei non era che darsi la speranza che la fortuna durasse pure il giorno successivo.
Se fossimo all’indomani della fine della seconda guerra mondiale credo che non faticherei a trovare persone d’accordo con me. 45 milioni di morti, trilioni di danni materiali, milioni di persone rese invalide, altrettante affette da stress post traumatico, orfani e via dicendo ne sarebbero la testimonianza evidente.
Non è un caso che la generazione italiana del secondo dopoguerra risultasse fatalista, diffidente, ossequiosa alla gerarchia ma anche “ dura “, “ ostinata “. La sua fortuna fu conoscere l’inizio di una crescita economica tumultuosa che prese il nome di miracolo economico ed è un peccato che le leve seguenti, che godettero appieno il relativo benessere, non riconobbero la grandezza della loro modestia e finissero ben presto per collidere con i genitori. A quei figli infatti, più istruiti e benestanti, risultava ostica la frugalità, la meticolosità ossessiva che animava  la cura delle poche carabattole familiari. Non dovendo trascinarsi dietro le ferite e/o i terribili ricordi legati all’esperienza del conflitto mondiale erano solo desiderosi di cogliere le prospettive insite nella nuova realtà e non avevano assolutamente voglia di rinchiudersi nel grigiore della vita dei genitori.
Ma è nel ’68 che si opera la grande cesura generazionale. Favoriti da un mirabolante periodo di reviviscenza politica i giovani, più ottimisti e sicuri di sé ingrossano le fila dei partiti o comunque dell’opinione pubblica favorevole a politiche riformiste, all’allargamento dei diritti civili, al pacifismo, all’affermazione della giustizia, alla difesa dell’ambiente, alle rivendicazioni salariali. Del resto si stava vivendo il sogno, seppur tra alti e bassi, del periodo di crescita economica più lungo che vi sia mai stato ed è logico che il fenomeno alimenti l’illusione della potenza umana. Le meravigliose scoperte scientifiche dell’ultimo cinquantennio del resto, che hanno dato luogo a innovazioni tecnologiche di enorme valore non hanno fatto che cementare quella sicumera.
Le generazioni ancora successive hanno poi addirittura goduto di una maggiore benevolenza da parte dei genitori nonché di una sempre più pressante presentazione ideale della realtà. Ciò, sia grazie ai media che pubblicizzano in maniera più appetibile luoghi, situazioni e persone. Sia per mezzo dei grandi uomini di cultura che pontificano sulle misure di civiltà da prendere, sia mediante internet e i social che sventolano davanti ai nostri occhi una dimensione diversa, dove si viene facilmente indotti a pensare che l’uomo sia il perno del mondo.
Peccato che questa non sia la verità. Per quanto le aspettative della gente, ovvero l’estensione dei diritti e dei benefici al resto del mondo siano nobili, non bisogna dimenticare che la nostra attuale predominanza non è altro che un “ incidente di percorso “, perché la norma è che si costituisca un fatto accidentale interno al moto di quell’unico protagonista mondiale che viene chiamato impropriamente Universo.
Continuiamo infatti a morire per malattia o per mano dei nemici. Le carestie e le calamità naturali sono sempre dietro l’angolo e non è detto che si riesca a superare il prossimo disastro o conflitto che sia. Nulla può non indurci a pensare che possa capitarci come ai dinosauri e che, come nel loro caso, magari fra milioni di anni i turisti di chissà quale mondo vadano nei loro musei a vedere le nostre povere ossa e i manufatti ritrovati.

c ) La decadenza dell’Occidente   

In un simile contesto parrebbe fuori luogo illudersi di essere altro che grani di sabbia sparsi sulla terra, eppure così non è. Ci si reputa così potenti da ritenere che siano le nostre attività egoistiche a creare pericolosi squilibri sulla superficie terrestre dimenticando che l’esistenza di dodici miliardi di persone alla mera ricerca del cibo quotidiano comportano un naturale impoverimento del terreno e incrementano a dismisura il rischio di conflitti.
La differenza fra i due punti di vista può non sembrare marcata ma è comunque netta : il primo è quello di chi considera l’uomo il reggitore del destino terrestre grazie alla propria intelligenza e attività. Cosa che per altro fa si che chi ne sia convinto sia pure certo della propria personale superiorità nei confronti della società.
L’altro è un punto di vista più fatalistico dove il nostro voler fare ed essere non è visto come valevole più di tanto. Quale dei due è più aderente alla realtà? Non è facile rispondere alla domanda se non facendo una premessa : in una società benestante com’è ancora l’attuale le modalità operative individuali che vanno per la maggiore sono l’acquisizione di oggetti superflui e/o sempre maggiori comodità, cosa che per altro è rispondente al nostro sistema produttivo che continuando a proporre prodotti con maggiori potenzialità spera di allontanare la temuta crisi di sovrapproduzione.
Ma siamo propri sicuri  che continuando così non andremo comunque a sbattere la faccia contro l’esasperazione della concorrenza internazionale e quindi l’esplosione di nuove guerre regionali? Saremo in grado di affrontarle? Sara facile adattarsi alla situazione per individui abituati alle soluzioni più facili e comode, ad armadi pieni di capi all’ultima moda, che spendono centinaia di euro dal barbiere, dal tatuatore, dall’estetista, dal chirurgo estetico?. Potremo fare a meno dei preziosi smartphone, delle 3 o 4 TV che si ha a casa, della lavasciuga, della lavapiatti? E le ferie e i riposi a fine settimana?  Riusciremo a trovare appoggi adeguati in un contesto dove ai legami di sangue non si sta dando nessuna importanza, dove non esiste più vera amicizia, ovvero quella che è per sempre e ti spinge ad aiutare in tutti i modi possibili l’amico? Reggeremo lo stress e la paura vera che è ben altra cosa da quella indotta dai videogame o dai film dell’orrore?  Saremo capaci di lavorare intensamente senza riposo e così via?
Studi medici, tanto per fare un paio di esempi eclatanti, hanno accertato che i nostri giovani hanno mediamente meno forza nelle braccia rispetto ai coetanei delle generazioni precedenti ( segno che hanno meno bisogno di adoperarle per ottenere quanto serve ). D’altro canto esponenti di spicco dell’esercito britannico lamentavano tempo addietro di non trovare abbastanza candidati per rimpinguare i ranghi dei reggimenti di Sua Maestà. I giovani che si presentano a quanto pare sono obesi e troppo agiati per sopportare i sacrifici e i pericoli abituali che la vita del soldato comporta.
Siamo insomma una generazione perfettamente in regola per usufruire della vita agiata che è possibile condurre in una società avanzata, ovvero in un contesto civile, che prevede l’integrazione del diverso quale potenziale nuovo cliente.
Ci manca tuttavia la forza, la chiarezza d’idee e la determinazione dei nostri padri che, sebbene bistrattati e criticati, bene o male hanno posto le fondamenta del benessere di cui godiamo. Sapremo difenderlo?


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