Perché l'uso del concetto di Paideia e di Cultura a 360°

Perché l'uso del concetto di Paideia e di cultura a 360°

Dall'iniziale esaltazione dell'aretè, ovvero il culto del coraggio, della valenza fisica e dell'astuzia, gli uomini di cultura e i politici greci vennero man mano delineando una più complessa idea di uomo valente. Costui infatti, accanto al coltivare l'àristoi, ossia l'essere prode, doveva curare : << .. Il padroneggiamento della parola ( .. ) qual segno della sovranità della mente .. >>, ( Werner Jaeger, Paideia, Milano II Edizione Bompiani Pensiero Occidentale 2011, RCS Libri S. p. A. ). E' così che il concetto greco di Paideia prese la sua forma definitiva.

Da allora sono passati più di 2000 anni ma la bellezza e il fascino della visione di come quei " grandi " ritenevano dovesse essere l'uomo ideale non solo non è sorpassata ma, stante la decadenza della nostra Società, è quanto mai attuale.

Ed egualmente fondamentale, oggi come allora è la determinazione delle qualità, virtù ed abilità che il soggetto d'elite debba aver maturato. Doti e nozioni che a mio parere possono rilevarsi soltanto cominciando a pubblicizzare e studiare quanto di meglio i ricercatori scientifici e i nostri " geni " abbiano scoperto nei loro studi attorno all'uomo e alla società.

.. Quanto al resto .. E' solo ciccia! ..

giovedì 23 agosto 2018

Sulle parrucche




Jefferson Dobberly sedeva davanti alla finestra che si apriva nella quarta parete. I raggi del sole tagliavano in sbieco la stanza dietro la testa calva dell'avvocato. La polvere danzava nel sole e sopra la sua testa. Altri libri, ammucchiati sulla scrivania, formavano una specie di barriera tra lui e Kling. Kling era seduto di fronte all'avvocato e lo guardava. Dobberly era alto, magro, con acquosi occhi celesti. La bocca, contornata da una ragnatela di rughe, si muoveva in continuazione, quasi che lui fosse sempre sul punto di sputare e non trovasse mai il posto per farlo. Quella mattina, nel radersi, si era tagliato. Il taglio gli scendeva dalle basette fino a metà guancia. E le basette erano in pratica tutto quanto gli restava dei capelli. Pochi ciuffi di peli bianchi nella resa che precedeva il crollo definitivo. Jefferson Dobberly aveva 53 anni e ne dimostrava 70.

Da : “ QUI, 87° DISTRETTO “ di ED MC BAIN

a ) Le parrucche fino al loro apogeo

Oltre ai sistemi chirurgici e chimici ci sono modi più semplici per mascherare le calvizie : o si usa un copricapo o se si ha ancora qualche capello lo si lascia crescere e lo si riporta sulla zona glabra per coprirla oppure s’indossa una parrucca o un toupet.
Si ha traccia dell’uso di parrucche fin da almeno 5000 anni fa e si sa che ne fecero uso praticamente tutti i popoli antichi. Solo gli schiavi non ne potevano portare e nell’antico Egitto era tradizione che i faraoni e le loro famiglie si rasassero la testa e nelle occasioni cerimoniali si mettessero parrucche speciali, fatte con capelli umani, fibre vegetali, e cera d’api.
Le donne romane di alto lignaggio non si radevano il capo ma an­che loro amavano indossare fantasiosi posticci, almeno sino a quando l’abitudine di farsele fare con i capelli dei popoli conquistati soppiantò l’uso di quelli finti.  Le prostitute romane invece erano obbligate per legge a portare chiome artificiali di colore giallo, in modo che si distinguessero dalle persone per bene.
Gli uomini dell’antica Roma, come quelli di oggi, le usavano soltanto per nascondere eventuali difetti dei capelli veri e cercavano di tenere la cosa segreta.
I vescovi della Chiesa cristiana primitiva si rifiutavano di benedire i fedeli ponendo loro le mani sul capo se ciò significava toccare capelli che forse erano cresciuti sulla testa di un pagano. Ben presto poi pure le fluenti chiome femminili vennero considerate come una tentazione del demonio e nel Medioevo le donne dovettero nascondere le chiome sotto cuffie aderenti.
Le parrucche tornarono in auge nel rinascimento so­prattutto perché i cosmetici dell'epoca danneggiavano in mo­do tale la pelle e i capelli da richiedere una pesante copertura. La loro consacrazione definitiva però l’ebbero quando la Regina Elisabetta I d’Inghilterra cominciò ad adoperarle per nascondere la sua rada capigliatura e allorché Enrico III di Francia, che aveva perso i capelli in seguito a tinture con preparati nocivi, fu costretto a portare un berretto di velluto con ciocche di capelli cucite all’interno. Fu allora che le dame e i cortigiani cominciarono ad emularli e a metà del diciassettesimo secolo si potevano ammirare in tutta l’Europa grandi parrucche arricciolate.
La Chiesa cristiana venne presa in contropiede dal fenomeno e rimase profonda­mente divisa sulla questione, al punto che spesso preti “ ortodossi “ ( ovvero contrari ad aggiunte artificiali ) si accapigliarono nelle sacrestie per  strappare le parrucche dal capo dei loro colleghi più alla moda.
A un certo punto si ebbe notizia di ben 110 tipi diversi di parrucche per uomini, la più alta delle quali era la parrucca Macaroni, imbottita con crine di cavallo e alta circa mezzo metro e, com’è facile da immaginare, soltanto i nobili più ricchi potevano permettersi quelle più elaborate e grandi.
Date le loro dimensioni erano così scomode che spesso, quando si era tra amici, venivano tolte per grattarsi la testa, lavarle o semplicemente riposare. A chi le portava inoltre conveniva rasarsi o tenere i capelli cortissimi.
Del resto, in un’epoca dove la pulizia era un optional il portarla faceva sudare e quindi costringeva a toglierla per rinfrescarsi. I proprietari poi potevano cambiarle a seconda dell’umore o della circostanza e inviarle al parrucchiere senza che il proprietario dovesse muoversi di casa. Esse inoltre potevano venire usate per alterare la propria fisionomia e quindi consentire al proprietario di andarsene in giro in incognito.
Le parrucche femminili nel XVIII secolo invece giunsero a essere alte  più di 75 centimetri e furono pesantemente decorate. Fu necessario adeguare le porte di casa e l’altezza delle carrozze perché le matrone potessero entrarvi senza toglierle e furono studiati speciali supporti per il letto, in modo che le grandi dame potessero disten­dersi e riposare senza levarsele. All'Opéra di Parigi le parrucche erano permesse soltanto nei palchi; altrove, avrebbero oscurato il palcoscenico.
Una signora alla moda passava quasi mezza giornata a erigere la sua parrucca e poi la teneva anche a letto per una settimana, appoggiata a speciali sostegni. Per farle venivano utilizzati anche i capelli veri causando gravi problemi di parassiti e un grande uso di manine d’avorio per grattarsi la testa.
Solo i mariti più ricchi e blasonati potevano permettere che le proprie mogli girassero con trappole del genere e così, proprio come per gli uomini, la ricchezza della parrucca indossata era indicativa del proprio status sociale.

b ) Le parrucche dopo la Rivoluzione francese
 La Rivoluzione Francese mise fine alla moda delle parrucche, vuoi sterminando i nobili ch’erano fautori di quell’accessorio, sia imponendo costumi più semplici e in linea con il carattere popolare dei rivoltosi. Anche la conquista dell’Indipendenza degli Stati Uniti d’America portò a un netto rifiuto da parte dei suoi abitanti di quel tipo di trabiccoli. Tanto per cominciare infatti quelli erano un accessorio in voga fra gli odiati inglesi e come tali rifiutati dai coloni americani. In secondo luogo questi uomini rudi che avevano a che fare con un territorio stupendo ma selvaggio, non avrebbero certo potuto permettersi affari così costosi e poco pratici.
A poco a poco quindi e grazie anche allo sviluppo di ceti operai, commercianti e artigiani, presero piede gusti più semplici e le parrucche, tranne in pochi casi, non conobbero più sfarzi tanto esagerati.
Vi fu infatti un parziale ritorno in auge di parrucche “ strane “, negli anni cinquanta quando in America furono inventati i capelli sintetici. Ciò ovviamente fece crollare il costo di fabbricazione delle parrucche rendendole accessibili a tutte le tasche e furono le donne ad approfittarne. Erano del resto gli anni del boom economico e della fiducia infinita nelle possibilità di progresso e così nacque un gusto “ modernista “ che mostrava di preferire tutto ciò che era nuovo, compresi colori, forme e materiali insoliti.
Un tale orientamento interessò dunque pure le parrucche e si videro donne infilarsi in testa cose assolutamente improbabili. Gli uomini invece, che spesso soffrono la caduta dei capelli come una perdita di sex appeal, furono da subito molto più interessati dal trapianto dei capelli o comunque dal nascondere la condizione considerata umiliante.
Come tutte le mode del resto, anche questo nuovo exploit di parrucche alquanto strane scemò ed esse tuttora sopravvivono nella loro forma più “ settecentesca “ solo nell’atmosfera arcaica dei tribunali e in teatro, mentre nella vita quotidiana hanno ormai un peso marginale, volto soprattutto a mascherare calvizie o difetti vari. Del resto, visto che lo scopo per cui vengono adoperate è quello di nascondere inestetismi, è ovvio che  debbano essere tanto realistiche da non parere tali. Altro vantaggio dell’indossarla è che può essere curata e pettinata in assenza del suo proprietario, uomo o donna che sia.
Non è detto tuttavia che in un prossimo futuro non vi possa essere un ritorno di fiamma delle parrucche più vistose. Da che mondo è mondo infatti le donne propendono per accessori che le rendano più “ visibili “ agli occhi maschili, che una volta notate, ne valuteranno istintivamente l’appetibilità. E visto dunque che determinati oggetti hanno una mera funzione di “ richiamo “ dell’attenzione maschile che poi valuterà a parte le qualità femminili, nulla toglie la possibilità di un ritorno di moda di qualche altro tipo di improponibile  parrucca.

e ) Riferimenti bibliografici

Desmond Morris, Il nostro corpo, Milano 1° edizione 1982, Arnoldo Mondadori Editore S.p.A
Desmond Morris, L’uomo e i suoi gesti, Milano, V edizione 1987, Arnoldo Mondadori Editore S.p.A.
Desmond Morris, L’animale donna,  Milano 1°  Edizione Oscar Saggi 2005, Arnoldo Mondadori Editore S.p.A


martedì 14 agosto 2018

Malfamato


Mancavano pochi minuti alle quattro del mattino di un giorno feriale e avevo mille pensieri per la testa, quando Jacobi fermò la macchina davanti al Lorenzo Hotel, una sorta di residence nel Tenderloin District di San Francisco, un quartiere talmente malfamato che persino il sole ci entra controvoglia.

Da : “ LE DONNE DEL CLUB OMICIDI “ di JAMES PATTERSON


sabato 4 agosto 2018

Alcune considerazioni sul mangiare


Non serve certo dilungarsi sul fatto che mangiare genuino e masticare a lungo facciano bene. Quel che forse è meno lampante è che seguire queste semplici norme igieniche non contribuisce solo a sanificare il proprio corpo. Infatti quando questo è in buone condizioni influisce positivamente pure sulle nostre prestazioni mentali.
Mangiare assieme implica una buona intimità. Se è forzata infatti, il nervosismo che serpeggia tra i commensali si taglia con il coltello. Secondo Tonino Lasconi ( vedi bibliografia ), indica pure possesso reciproco.
Nutrire la propria compagna suscita in lei ancestrali richiami che vanno al di là del pasto consumato. In tempi molto lontani infatti ella, ch’era impegnata ad accudire i figli, non sarebbe stata in grado di procurarsi il  cibo sufficiente per sé e la prole. Il fatto che vi provvedesse il maschio poteva rappresentare la salvezza ed è dunque ovvio immaginare il valore che costui poteva avere agli occhi della donna.
Portare a mangiare fuori la propria compagna viene da lei recepito come una manifestazione dell’attrazione che lui prova e tanto più la cosa è sfarzosa, tanto più il disturbo ch’egli si è dato viene recepito come quantificazione del suo amore. Per l’uomo invece andare al ristorante ha un valore meramente pratico : evita di rompersi l’anima a cucinare, apparecchiare, lavare i piatti, ecc. E’ bene dunque, onde non rovinare l’atmosfera romantica, che l’uomo non accenni al senso di liberazione che per lui rappresenta il mangiare fuori. Sarebbe molto meglio alimentare le fantasie femminili circa il sentimento che prova per lei.
Pazienza quindi se la partner mangia tanto. Se si è con lei è meglio tenere per sé considerazioni poco riguardose come quelle che Ed Mc Bain mette in mente  al suo protagonista in “ Tre topolini ciechi “ :
<< .. Portava lunghi orecchini d'argento e un braccialetto d'argento massiccio al polso destro. Aveva un'aria molto americana e molto asiatica. Era anche molto bella. E mangiava come un camionista. L'appetito della ragazza meravigliava Matthew.. >>.
Dato poi che per la donna il  mangiare fuori è atto a rinverdire il valore sentimentale della relazione è probabile che la cosa le stuzzichi lo scilinguagnolo di cui già di per sé è stata fornita in abbondanza. Guai quindi per l’uomo concentrarsi unicamente sul cibo e questo anche se secondo lui, come Andrea Camilleri fa dire al Commissario Montalbano ne : “  la giostra degli scambi “ :  << .. Il mangiari, come la minchia, non voli pinseri >>.
Alle donne poi piace far bella figura in società : è quindi da evitare di comportarsi come l’Ollie che Ed Mc Bain descrive in “ Grande città violenta “ :
<< .. Correva voce che Ollie fosse l’unico uomo al mondo in grado di mangiare e scoreggiare contemporaneamente. In effetti ci riusciva alternando le due operazioni : dava un morso al sandwich, inghiottiva, beveva un sorso di frullato al cioccolato dal bicchiere di carta, mollava un peto, mordeva di nuovo, masticava, scorreggiava, beveva e ogni tanto ruttava. Una macchina digestiva perpetua. .. >>.
Dovrebbe allarmarci se la ragazza seduta al nostro tavolino, peggio se ancor poco in intimità, ci guardasse come fa la ragazza  di cui Ed Mc Bain parla in : “ Bocche di fuoco “ :
<< .. La ragazza lo guarda mangiare ed è come se non avesse mai visto prima di allora un uomo affamato che mangia. Osserva ogni gesto che lui fa, guarda come avvicina l'hamburger alla bocca e lo afferra tra i denti, guarda come lo mastica e lo inghiotte. Sta facendo un documentario su come si mangia un hamburgher. .. >>.
Del resto val bene ricordare e questo soprattutto per i temperamenti un po’ prepotenti che trovano sempre difetti e lo fanno notare ai camerieri con alterigia, cosa può succedere a volte. Ce lo spiega mirabilmente Michael Connolly in “ Avvocato di difesa “ :
<< .. Per favore, allora faccia presto .. >>.
<< .. Io faccio sempre presto .. >>.
Un quarto d’ora dopo mi resi conto che le mie lamentele avevano avuto il solo effetto di farmi aspettare più di quanto sarebbe successo se avessi tenuto la bocca chiusa. Non ci voleva molto a capirlo, anche a un cliente di un ristorante succede che se rimanda in cucina la minestra servita fredda gliela riportano bollente e con l’aggiunta di un acre sapore di saliva. .. >>.
Può capitare invece di trovare cameriere alquanto linguacciute e non proprio beneducate, come nel caso descritto sempre da Michael Connolly in “ Avvocato di difesa “, che paia loro che al cliente non piaccia quello che gli si è portato oppure che non gradiscano la sua fretta :
<< .. La cameriera arrivò con il mio secondo martini, glielo presi di mano e ne buttai giù la metà. Ci chiese se pensavamo di finire le insalate ma entrambi le facemmo segno di portarle via, anche se non le avevamo sfiorate.
<< Le vostre bistecche sono pronte >>, annunciò la cameriera. << Volete che per risparmiare tempo le butti direttamente io nella spazzatura? .. >>.
Spesso le porzioni al ristorante, soprattutto in quelli chic, sono troppo piccole. Sarà successo decine di volte che, se la pietanza ci piace, ne avremmo volentieri mangiato di più. Ne sa qualcosa anche Aldo Busi e ce lo racconta in “ Altri abusi “ :
<< .. Arriva un  cameriere esibendo un vassoio con numerose fettine di diverse qualità di torta, io scelgo il vassoio con tutto. Arriva la singola porzione di torta per Taka e Salute e dieci fettine di torta per me, più una tazza di caffé americano ciascuno. Faccio così con la forchettina, finita la torteide. .. >>.
Al di là comunque dei piccoli incidenti che possono capitare, come tutti sanno mangiare bene dà una gran soddisfazione. Ce lo ricorda Andrea Camilleri ne : “ Il ladro di Merendine “ :
<< .. Poi arrivarono gli otto pezzi di nasello, porzione chiaramente per 4 pirsùne. Gridavano, i pezzi di nasello, la loro gioia per essere  stati  cucinati  come Dio comanda. A nasata, il piatto faceva sentire la sua perfezione, ottenuta con la giusta quantità di pangrattato, col delicato squilibrio tra acciuga e uovo battuto.
Portò alla bocca il primo boccone, non l'ingoiò subito. Lasciò che il gusto si diffondesse dolcemente e uniformemente su lingua e palato, che lingua e palato si rendessero pienamente conto del  dono  che veniva loro  offerto. .. >>.
Camilleri stesso dev’essere un gran ghiottone : non è un caso infatti che i suoi personaggi amino enormemente la buona cucina e indugino spesso su un buon pranzo. Ne è un altro buon esempio ciò che prova il suo Commissario Montalbano ne “ La gita a Tindari :
<< .. Raprì   il frigo  e fece un nitrito di pura felicità. La cammarera Adelina gli aveva fatto trovare  due  sauri  imperiali  con  la  cipollata,   cena  con  la  quale  avrebbe  certamente passato  la nottata  intera  a  discuterci, ma ne valeva la pena. Per quartiarsi le spalle, prima  di principiare a mangiare volle assicurarsi se in cucina c’era il  pacchetto del bicarbonato,  mano santa,   mano biniditta.
Assittato  sulla verandina, si  sbafò coscienziosamente tutto,  nel  piatto restarono  le  resche e le teste dei pesci così puliziate da parere reperti fossili. >>.
Pazienza per il suo povero stomaco che deve poi fare gli straordinari per digerire tutta quella roba. Ce lo fa presente sempre il nostro Camilleri in “ Un mese con Montalbano “ :
<< .. Montalbano tornò in ufficio alle quattro meno un quarto, tanticchia appesantito da un chilo e passa di misto di pesce alla griglia, tanto fresco che aveva ripigliato a nuotar dintra al suo stomaco. .. >>.
Per un amante della buona tavola com’è Montalbano è una vera iattura quando Livia, la sua fidanzata genovese che lo viene spesso a trovare, vuole preparargli qualcosa da mettere sotto i denti. Per quanto la ami infatti non gradisce la sua cucina e il bello è che tra lei e la donna che lo aiuta nelle faccende di casa e in più gli prepara dei pranzetti da Dio, ovvero Adelina, non corre buon sangue. Al punto che quando arriva la giovane donna la governante non si presenta e quindi il frigo rimane vuoto. Il nostro tutore della legge si vede così costretto a cercare di non far trafficare la fidanzata in cucina trovando delle scuse che non la offendano e anche in questo caso risulta avere un’abilità diabolica. Un esempio per tutti ce lo narra Camilleri in “ Un covo di vipere “ :
«Senti, dove andiamo a mangiare?».
«Ci tieni veramente a uscire? È l’ultima sera che stia­mo assieme. Tu hai appetito?».
«Be’, avendo mangiato solo un panino...».
«Vediamo cosa c’è in cucina e se c’è abbastanza po­trei prepararti qualcosina io. Che ne dici?».
«Splendida idea!» fici il commissario. «Vai, vai!».
Era tranquillo, aviva controllato mentri aspittava che lei tornava. ’Nfatti, doppo tanticchia, Livia niscì dalla cucina assà sdillusa.
«Credo proprio che dovremo andare fuori».
«Peccato!» sciamò il noto gesuita Salvo Montalbano.
Purtroppo spesso accade che non si possa godere, come dice John le Carrè in ” Un delitto di classe “ del : << .. Momento della verità, un buon pranzo! .. >>, a casa, con la calma e gli agi necessari. In questo caso non resta che far come si può avendo cura di scegliere un locale eccellente. Santo Piazzese ne “ I delitti di Via Medina-Sidonia “ ce ne offre un bell’esempio :
<< .. Prima di salire al dipartimento mi concessi una doppia razione di seppioline e calamari fritti, consumati in piedi, al banco di un panellaro, seguiti da un gelato di cioccolata e panna. Per tenere l'ulcera sul chi vive. .. >>..
A delle “ buone forchette del genere uno dei più grandi dispetti che gli possa fare è fargli trovare la cucina vuota. Cosa possa provare un simile uomo che si trovi in dette situazioni è mirabilmente descritto ancora una volta dalla penna di Andrea Camilleri ne “ Il ladro di merendine “ :
<< .. Montalbano preparò la tavola, la conzò di tutto punto e quando ebbe finito andò  in  cucina per vedere  cosa Livia avesse approntato. Niente, una desolazione artica, posate e piatti splendevano  incontaminati. .. >>.
Per la carità, c’è chi si dichiara sordo ai richiami di un buon odorino di sugo o di pietanza ma in genere la maggior parte di costoro non superano la prova del nove, ovvero la vista di una buona tavola imbandita. Lo sa bene pure Ed Mc Bain che ne “ Qui, 87° Distretto “, ci dà un saggio di come vada a finire con tipi del genere :
<< .. Guardò l'ora, andò alla scrivania dove Meyer Meyer stava battendo a macchina e disse << Andiamo, tiratardi. E' ora di colazione >>.
<< Di già? >>, disse Meyer e alzò gli occhi a guardare 1’orologio sulla parete di fronte.
<< Ah, poveri noi! >>, si lamentò. << Qui dentro si pensa soltanto a mangiare, mangiare, mangiare >>.
Però si mise la giacca, e quando furono nella piccola trattoria lì vicino, in una delle strade laterali, per poco non si mangiava anche Kling. .. >>.
Non vi può essere nulla di peggio, quando si ha a che fare con un golosone che disturbarlo quando mangia. Lo sappiamo tutti e quindi non poteva esser da meno Andrea Camilleri che in “ Un covo di vipere “ narrra questa gustosa scenetta :
<< .. Non potti evitare di mittirisi a pinsari alle circostan­ze dell’ammazzatina di Barletta e tutto ’nzemmula gli vinni ’n menti ’na cosa che aviva completamenti tra­scurata e che arriguardava il vileno che gli avivano mittuto nel cafè.
Ma per aviri ’st’informazioni doviva tilefonare a Pasquano, non c’erano santi, a costo d’arriciviri ’na ton­nellata d’insurti.
Si susì, trasì dintra, fici il nummaro di casa del dot­tori.
Gli arrispunnì ’na voci fimminina. Era la mogliere.
«Montalbano sono, signora. Vorrei parlare con suo marito».
«Lo sa che a quest’ora sta mangiando?».
La dimanna della signura era in realtà un gentili av­vertimento che si potiva tradurri accussì: si rende con­to del rischio che corre ?               
’Nfatti, per avirne fatta spirenzia pirsonali, sapiva che distrubbare a Pasquano mentre che s’attrovava a tavola era priciso ’ntifico che livari ’na gazzella dalla vucca di un lioni.
«Mi scusi se insisto, signora, ma...».
«E vabbeni» fici, rassignata, la signura.
Il tilefono doviva essiri vicino alla càmmara di man­giare, pirchì sintì distintamenti che diciva:
«C’è Montalbano al telefono».
Subito all’oricchi gli arrivò ’na speci di potenti rug­gito bistiali o meglio il barrito di un liofanti ferito. Mon­talbano era priparato a quella reazioni, masannò si sarebbi tanto scantato da riattaccari. Appresso, il barri­to si tramutò in una voci umana arraggiata:
«Digli di annare a fare in...».
E la mogliere:
«Diglielo tu».
Che Pasquano aviva pigliato ’n mano la cornetta, il commissario l’accapì dal digrignio dei denti all’autro ca­po del filo.
«Ma macari mentri uno sinni sta a la sò casa a mangia­re lei deve viniri a polverizzarigli i cabasisi ?! Ma lo sa che lei non è un essere umano ma un robot tritacoglioni?».
«Senta, dottore...».
«Lo sa qual è la mia più alta aspirazione? Farle l’au­topsia!».
«Dottore, mi scusi, ma...».
«Non la scuso! Anzi, la maledico per l’eternità! Che minchia d’una minchia vuole?».
Altri autori però, forti di esperienze fatte in luoghi più poveri, hanno creato personaggi che centellinano il cibo. Il peccato di gola infatti non può che essere esaltato in realtà benestanti, altrimenti ci si deve arrangiare. Così come fa il Massimiliano di Ignazio Silone ne “ Una manciata di more “ :
<< .. Rocco si mise a osservare l'asino, una povera bestia incredibilmente magra e polverosa, col pelame logoro come un vecchio oggetto.
<< L'asino è tuo? >>, egli domandò a Massimiliano. << Non ce l'hai mai presentato. Ti somiglia >>.
<< E' mio, ma non mio parente >>, si scusò Massimiliano.
<< Perché non gli dai da mangiare? >>, disse Rocco. << E' piuttosto magro >>.
<< Si dà da mangiare ai bambini >>, rispose Massimiliano. << A una certa età ognuno se lo deve cercare da sé >>.
Grazia Deledda in “ Naufraghi in porto “, non è da meno :
<< Ecco >>, disse poi zia Martina, << Giacobbe Dejas verrà fra poco, per parlare anche con te. Egli voleva cominciare il servizio domani, ma io gli dissi che aspettasse a lunedì. Ebbene, domani è festa : perche deve mangiare a ufo? >>.

a ) Riferimenti bibliografici

Richard Bandler, Owen Fitzpatrick, PNL è Libertà, Urgnano ( BG ), 2a ristampa : aprile 2007, Alessio Roberto Editore Srl.
Tonino Lasconi, Il misterioso linguaggio del corpo, Leumann ( TO ) 2001, 3° ristampa della 1a edizione Editrice ELLEDICI
Allan & Barbara Pease, Perché gli uomini .. Perché le donne .. La bibbia del vivere in due,  Milano 2006, RCS Libri S. p. A.