Perché l'uso del concetto di Paideia e di Cultura a 360°

Perché l'uso del concetto di Paideia e di cultura a 360°

Dall'iniziale esaltazione dell'aretè, ovvero il culto del coraggio, della valenza fisica e dell'astuzia, gli uomini di cultura e i politici greci vennero man mano delineando una più complessa idea di uomo valente. Costui infatti, accanto al coltivare l'àristoi, ossia l'essere prode, doveva curare : << .. Il padroneggiamento della parola ( .. ) qual segno della sovranità della mente .. >>, ( Werner Jaeger, Paideia, Milano II Edizione Bompiani Pensiero Occidentale 2011, RCS Libri S. p. A. ). E' così che il concetto greco di Paideia prese la sua forma definitiva.

Da allora sono passati più di 2000 anni ma la bellezza e il fascino della visione di come quei " grandi " ritenevano dovesse essere l'uomo ideale non solo non è sorpassata ma, stante la decadenza della nostra Società, è quanto mai attuale.

Ed egualmente fondamentale, oggi come allora è la determinazione delle qualità, virtù ed abilità che il soggetto d'elite debba aver maturato. Doti e nozioni che a mio parere possono rilevarsi soltanto cominciando a pubblicizzare e studiare quanto di meglio i ricercatori scientifici e i nostri " geni " abbiano scoperto nei loro studi attorno all'uomo e alla società.

.. Quanto al resto .. E' solo ciccia! ..

mercoledì 27 aprile 2016

Il Tipo 3 dell'Enneagramma, detto anche Imprenditore : quinto paragrafo

E’ un isterico fiducioso di sé

In Carattere e Nevrosi, lavoro pubblicato più di vent’anni fa, Naranjo[1] riconosce nel nostro tipo tratti isterici. Il termine oggi risulta desueto in quanto gli psichiatri hanno mutato opinione riguardo quella patologia e preferiscono definirlo Disturbo di Conversione, ma ciò che qui interessa è quanto aiuta a capire meglio le caratteristiche del tipo in questione.
Naranjo[2] ne : “ L’ego patriarcale “afferma :
<< .. Indubbiamente si tratta del tipo umano che nella sua forma più accentuata  soleva chiamarsi “ carattere isterico “ in riferimento alla sua plasticità o capacità di adozione di ruoli, alla sua tendenza a somatizzare le emozioni e alla sua esplosiva emotività, che è l’altra faccia del suo abituale controllo emotivo. Più che altro, allora, si tratta di un tipo emotivo che disconosce le proprie emozioni e si confonde con emozioni, per così dire, “ fabbricate “, proprie dei ruoli che svolge e che servono la passione tipica di piacere agli altri e la sua conseguente vanità. L’intelletto, in fin dei conti, è una funzione che serve l’azione, che si è costruito come intelletto pratico, poco aperto agli interessi propriamente intellettuali della conoscenza del mondo. .. >>.
Consegue al fatto che il nostro tipo cerchi di vestire i panni e di comportarsi come gli eroi e i divi che la società ammira, il conferimento di quella “ marcia in più “ che gli abbisogna per credersi predestinato al successo. Per Naranjo[3] infatti i nostri soggetti, che spesso sono i “ preferiti “ dai genitori, hanno anche doti notevoli che li fanno precocemente distinguere dalla massa. E’ ovvio che ciò già di per sé lo faccia sentire più che adeguato per affrontare la realtà ma lo scegliere d’incarnare il personaggio maggiormente desiderato dalle persone della sua cerchia gli conferisce quel sovrappiù di certezza, certificata pure dal favore riscosso dagli altri, che scioglie qualunque restante dubbio e lo fa sentire invincibile.
E’ proprio perché si sente irresistibile e quindi non ha, né bisogno di affermarsi con la violenza, né  teme chi gli sta di fronte, che cerca di far colpo sulle nuove conoscenze affascinandole. E’ per lo stesso motivo che può permettersi il lusso di essere generoso, prodigo di complimenti, amante del prossimo, tollerante e accettare persino gli scherzi che non lo mettano in ridicolo. Guai però a non riconoscere o a mettere in dubbio la sua eccellenza e a non gratificarlo di conseguenza.
L’aver bisogno del resto dell’ammirazione del prossimo al punto da sposarne le credenze denota, nonostante tutta la sua sicumera, ch’egli non si sente tale di per sé ma solo in quanto opera eccellentemente e per uno scopo condivisibile. Se così non fosse non parlerebbe sempre dei suoi successi e della sua sagacia, astenendosi volutamente dall’enucleare le sconfitte.
Questo, scrive Naranjo[4], in quanto i nostri soggetti : << .. Ricono­scono l'insicurezza ma sanno mascherarla dando un'impressione di fiducia in sé. Sanno come procedere. Hanno imparato molto presto a badare a se stessi e hanno sviluppato l'autonomia. Sanno come occuparsi dei propri interessi. In questo atteggiamento è implicita la sfiducia verso il farsi auto­matico delle cose e verso la loro spontanea evoluzione. .. >>.






[1] Claudio Naranjo, Carattere e nevrosi, Roma 1996, Astrolabio. L’autore qui riprende quanto affermato da O. Kernberg ne : Disturbi gravi della personalità, edito a Torino nel 1987, da Boringhieri
[2] Claudio Naranjo, L’ego patriarcale, Milano 2009, Urra – Apogeo S.r.l.
[3] Carattere e nevrosi, Roma 1996, Astrolabio. L’autore qui cita quanto scritto da K. Horney nel suo Nevrosi e sviluppo della personalità, Roma 1981, Astrolabio
[4] Claudio Naranjo, Gli Enneatipi in psicoterapia, Roma 2003, Casa Editrice Astrolabio – Ubaldini Editore

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